Insegnare Etica nelle Facoltà di Economia

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"Formare all'etica economica in tempi di crisi" è stato il filo conduttore dell'incontro internazionale promosso da Econometica il 30 novembre scorso all'Università Bicocca di Milano. Nella tavola rotonda conclusiva - centrata sull'esperienza italiana - docenti, esperti di formazione, uomini di azienda si sono confrontati sulla domanda di etica proveniente dalle professioni economiche e manageriali e le risposte del mondo delle università. Al termine del convegno è stata presentata una prima bozza di "manifesto" per l'ulteriore discussione e approfondimento da parte di una più vasta platea di studiosi e di operatori. La bozza viene riportata in allegato a questo editoriale che dà conto delle riflessioni svolte da chi scrive nella citata tavola rotonda.

Sui temi dell'etica, tra università e realtà aziendali, occorre creare le condizioni atte a favorire dialogo, interdipendenza, arricchimento reciproco. Il ponte tra i due mondi può essere trovato nei giovani che formiamo nei nostri corsi di studio triennali e magistrali e che poi andranno a lavorare nelle imprese e nelle istituzioni. Vi andranno essendo portatori di cultura, di visioni del mondo, di competenze, di abilità, di strumenti. In questa ottica gli insegnamenti di etica - uso il termine generale - possono rivestire un ruolo oltremodo significativo.

Nel nostro Paese la situazione è in movimento. Segnali di grande interesse e novità si riscontrano tanto sul versante aziendale quanto su quello accademico. Sul primo versante cresce la consapevolezza che l'impresa economicamente eccellente deve essere anche "socialmente capace", che la creazione di valore nel medio lungo termine per tutti gli stakeholder e per l'intera comunità consente di integrare business e società e quindi di fare dell'impresa un soggetto e uno strumento del bene comune. L'impresa produce beni e servizi per il mercato ma al tempo stesso relazioni di convivenza sul fronte interno e sul fronte esterno. La responsabilità sociale è dunque chiave interpretativa e normativa dell'essere e del fare impresa. Tutto ciò non può essere casuale, episodico. Occorrono adeguate infrastrutture sul piano teorico, metodologico, regolamentare, strumentale.

Sul versante delle facoltà di economia registriamo un aumento degli insegnamenti di etica sotto forma sia di corsi specifici sia di moduli ad hoc nell'ambito di corsi più generali. L'Italian Center for Social Responsability (ICSR), con riferimento all'ottobre 2008, ha censito 65 corsi (o moduli) nell'ambito delle lauree triennali, 79 nell'ambito delle lauree specialistiche. L'80% dei corsi ha per oggetto tematiche connesse alla "corporate social responsability". I restanti si concentrano prevalentemente sull'etica ambientale.

Il driver di questi corsi è, nella maggior parte dei casi, l'interesse, la sensibilità personale di singoli docenti. Sovente trattasi di corsi isolati, con scarsa visibilità e qualora si tratta di moduli ad hoc, questi sono giustapposti alle tematiche più generali e concentrati essenzialmente su aspetti meramente strumentali (codici etici, bilanci sociali, standard di certificazione). Il rischio di restare in superficie non va sottovalutato come quello di seguire acriticamente una moda.

Non ostante questi rischi riscontriamo in questi ultimi tempi un aumento di consapevolezza. Si avverte la necessità di visioni di assieme, di approcci integrati e interdisciplinari con i quali affrontare i diversi aspetti delle questioni in gioco. A livello pedagogico formativo occorre collegare gli aspetti macro del contesto economico, sociale, politico e gli aspetti micro della governance e delle strategie dei singoli soggetti. Del pari occorre collegare fondamenti filosofici e dimensioni operative, valori e competenze. Occorre sopratutto saper coinvolgere gli studenti in un discorso, in un ragionamento su ciò che è buono e giusto in economia e nelle imprese, esplicitando le aree di consenso e di dissenso.

Nella valutazione dell'insegnamento (etica economica e responsabilità sociale delle imprese) che da nove anni tengo all'Università di Genova gli studenti hanno messo in evidenza questi aspetti: l'insegnamento ci ha aperto orizzonti nuovi, ci ha aiutato a guardare all'economia e all'impresa in modo diverso, ci ha stimolato a pensare. Ho verificato che questa sensazione è pienamente condivisa anche dagli altri colleghi che nelle facoltà di economia propongono agli studenti tematiche etiche. A questo proposito vorrei ricordare l'esperienza pilota della facoltà di economia di Lecce che ha attivato l'insegnamento di filosofia morale affidandolo al Prof. Mario Signore, passato dalla facoltà di filosofia a quella di economia.

Ricerche condotte nelle università americane e riportate in uno studio del già citato ICSR evidenziano che l'introduzione dell'etica di impresa tra le principali materie di insegnamento ha un effetto positivo sull'agire individuale degli studenti che frequentano le lezioni, contribuendo a mutarne atteggiamenti e sensibilità. L'insegnamento dell'etica non è una materia come le altre, ma può diventare esperienza di vita intellettuale, professionale, operativa.

In questa prospettiva è nostro compito far emergere nello studente - prendo a prestito un'espressione di Giorgio Lunghini di tanti anni fa - una triplice intelligenza: un'intelligenza filosofica; un'intelligenza analitica; un'intelligenza pratica. La prima fa riferimento ai valori e da questo punto di vista giustizia, solidarietà, partecipazione possono connotare l'impresa multistakeholder. Con la seconda si entra dentro i problemi potendo contare su solide basi teoriche. La terza aiuta a trovare gli attrezzi per risolverli.

Una volta che i nostri giovani hanno lasciato l'università e si sono inseriti, anche con l'aiuto di qualche master ben fatto, nella vita aziendale dovrebbero dotarsi - come evidenzia Howard Gardner, docente di psicologia a Harvard - di altre due intelligenze indispensabili per essere un bravo manager: l'intelligenza rispettosa e l'intelligenza etica. Sono tra di loro strettamente connesse. L'intelligenza rispettosa consiste nell'apertura mentale con la quale si cerca di comprendere e di entrare in relazione con gli altri anche se diversi. L'intelligenza etica si misura a sua volta con questa domanda: "Che tipo di persona, di lavoratore, di cittadino voglio essere? Se tutti coloro che svolgono la mia stessa professione adottassero una mentalità analoga alla mia o se tutti si comportassero come me, in che tipo di mondo vivremmo?"

Non sono interrogativi di poco conto e sopratutto non possono lasciare tranquilli dentro e fuori l'università. Al riguardo è significativa la mission che l' Esade - prestigiosa business school spagnola - ha voluto darsi. "Attraverso l'educazione dei manager di domani possiamo diffondere nella società il rispetto della dignità individuale, del pluralismo etico e dei diritti umani".

La responsabilità sociale consiste nel rispondere di qualcosa a qualcuno sulla base di determinati presupposti valoriali in maniera organizzata e verificabile. Sul qualcosa, sul qualcuno, sui presupposti e sui processi di implementazione occorre avviare un confronto stringente e approfondito. Econometica ed Eben stanno assolvendo a un ruolo di grande importanza che può ulteriormente svilupparsi in direzione di una feconda sinergia tra ricerca e formazione, nella promozione di forme di partnership tra università, aziende e istituzione, nell'apertura a quanto si sta verificando a livello internazionale.

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Le tematiche connesse agli intangibles nei loro molteplici aspetti da un lato, le dimensioni etiche dell'agire economico dall'altro, caratterizzano questo nuovo numero della rivista.

Gastone Ceccanti, un maestro dell'aziendalismo italiano, ci onora con un saggio sulla recente enciclica di Benedetto XVI. In particolare, l'Autore si sofferma sul principio di sussidiarietà, trovando in esso il fondamento del decentramento dell'economia, del mercato, della forma contrattuale di impresa. In tale contesto, il "profitto autentico" può essere assunto come il misuratore del contributo che l'impresa fornisce al bene comune. La carità che si trasforma in business, connotandolo in termini solidaristici, costituisce il leit motiv del paper della giovane dottoranda Cristina Elisa Orso che approfondisce le prospettive del microcredito e, più in generale, della microfinanza nei paesi in via di sviluppo, descrivendo i cambiamenti sociali riscontrati in una specifica realtà indiana.

Il rapporto tra risorse immateriali e creazione di valore costituisce la trama unificante dei due contributi presentati da Pier Maria Ferrando. Il contributo ospitato nella sezione degli working paper è una nota a margine dell'ultimo Convegno Aidea dedicato appunto alle risorse immateriali nella economia delle aziende. Commentando le tre relazioni generali Ferrando solleva alcune questioni suscettibili di ulteriore approfondimento: come ottimizzare la produzione e diffusione della conoscenza, come monitorare di conseguenza il capitale intellettuale ai fini della creazione di valore, come risolvere il reporting gap tra market value e book value. L'esperienza del Centro di Formazione Permanente dell'Università di Genova, di cui Pier Maria Ferrando è stato per lungo tempo presidente, gli consente - nel saggio specifico - di sviluppare il rapporto tra risorse immateriali e creazione di valore in riferimento all'offerta formativa post lauream dell'università. Tale offerta viene vista - nella sua articolazione culturale, organizzativa e gestionale - come processo cognitivo il cui successo è legato alla capacità di utilizzare e produrre know why e know how.

La connessione tra capitale intellettuale e creazione di valore viene declinato da Federico Fontana con riferimento alla realtà degli enti locali. Loro compito è produrre valore pubblico in condizioni di economicità. In questa prospettiva il capitale intellettuale dell'ente locale - che nasce dal concorso di capitale umano, capitale organizzativo, capitale relazionale - deve entrare in sinergia con il più ampio capitale intellettuale della comunità in cui l'ente locale è radicato. Ciò richiede opportune metodologie e strumentazioni di pianificazione, controllo e comunicazione.

Il capitale umano, inteso come insieme di conoscenze e di competenze, è centrale per la costruzione del vantaggio competitivo dell'impresa. Muovendo da questo assunto Michela Marchiori nel suo saggio si sofferma sulla natura e sulle caratteristiche degli strumenti con i quali individuare e valutare le competenze. Non è una questione semplice: le esperienze esaminate presentano limiti e criticità, ma al tempo stesso lasciano intravedere le piste per futuri approfondimenti.

La rivista si è occupata nel passato sia di distretti sia, soprattutto, di logistica. Sonia Ruggiero nel suo saggio pone in relazione i due termini: la logistica può rappresentare un importante connettore fra le imprese distrettuali. Perchè ciò avvenga occorre da un lato una figura di regia nella gestione dei flussi logistici e dall'altro specifiche competenze all'interno delle imprese di piccole e medie dimensioni. Il ricorso ad operatori specializzati che, in qualità di outsorcer gestiscono il servizio logistico in modo professionale, potrebbe rappresentare un'ipotesi di soluzione da valutare attentamente.

Roberto Garelli e Riccardo Spinelli completano la sezione degli working paper con due apporti di grande interesse. Garelli esamina il Sarbanes-Oxley Act con riferimento alla necessità di documentare, valutare e monitorare il processo di formazione dei report istituzionali delle società quotate, con particolare riguardo alle applicazioni IT e alle procedure utilizzate. Lo scopo è quello di garantire la trasparenza delle scritture contabili e ricreare quindi le condizioni di fiducia nei confronti dei mercati finanziari. Riccardo Spinelli, attraverso l'esame di un caso pilota, si interroga sulle condizioni strategiche, organizzative e strutturali che consentono alle piccole e medie imprese di sfruttare pienamente le potenzialità insite nelle ICT. Tali condizioni si collegano - questa è l'ipotesi avanzata dall'Autore - da un lato alla visione strategica del vertice aziendale e dall'altro alla dotazione di infrastrutture e applicazioni ICT presenti nell'impresa.