Il ritardo nel management della diversità in Italia e alcune rilevanti azioni in atto

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10.15167/1824-3576/IPEJM2023.3.1586

É a tutti noto il notevole ritardo nella gestione della gender diversity nel nostro Paese. Se facciamo riferimento al Global Gender Gap stilata dal World Economic Forum la diagnosi è impietosa: nel 2023 l’Italia scivola al 79 posto su 146 Paesi, perdendo ben 13 posizioni rispetto all’anno precedente. Il peggioramento dipende soprattutto dalla partecipazione e rappresentanza delle donne in politica (dove abbiamo perso ben 24 posizioni passando dal 40° al 64° posto), ma in realtà il dato più critico è quello della partecipazione e le opportunità delle donne nell’economia, dove rimaniamo oltre alla 100a posizione, seppur con un lieve miglioramento (dal 110° al 104° posto).

Le conseguenze di questa criticità sulla nostra competitività sono evidenti. Molti studi infatti dimostrano come l’inclusione e la valorizzazione delle diversità consentano un miglioramento delle performance delle imprese[1].

Questi risultati positivi dipendono dallo stile di leadership (più inclusivo e orientato all’innovazione) e dalle caratteristiche specifiche delle donne (avversione al rischio, capacità di negoziare, visione di lungo periodo, sensibilità ai temi di sostenibilità, ma anche dalla coopetition benefica e che si innesca tra uomo e donna). Inoltre, gli studi esistenti, compresi alcuni svolti presso la Scuola Superiore Sant’Anna, mostrano che la presenza di donne in posizioni direttive accresce l’impegno dell’impresa sulle tematiche della sostenibilità e dell’inclusione, a conferma che la parità di genere è un fattore di innesco di circoli virtuosi che portano benefici per l’azienda, per la società e per l’economia. D’altra parte, la ricerca su queste tematiche è in continua evoluzione: una nostra recente literature review mostra come negli ultimi anni le pubblicazioni sulla connessione tra gender e performance ambientali siano aumentate in modo consistente (il 60% dei paper analizzati è stato pubblicato tra il 2022 e settembre 2023).

 

Le nostre istituzioni non sono rimaste passive rispetto a questa situazione e nell’ultimo decennio hanno messo in campo iniziative legislative per colmare, almeno in parte, il gap. La più nota è stata la Legge Golfo-Mosca del 2011 sulle “quote di genere”, emanata per aumentare la presenza delle donne nei consigli di amministrazione delle grandi aziende e che ha comportato la crescita del numero delle donne nei Cda delle società quotate dal 7 al 40%. Molto si è discusso sull’efficacia di azioni che partissero dall’obbligatorietà per diffondere una cultura dell’inclusione, ma che la Legge Golfo-Mosca abbia raggiunto il suo primo obiettivo, inerente la presenza femminile nella governance delle grandi imprese quotate, è innegabile.

Al raggiungimento di questo obiettivo non è però corrisposta una pari dinamica nelle quote delle donne in posizione di vertice (CEO o membri dell’executive committee), dirigenti e, più in generale, nei parametri che caratterizzano la parità di genere nell’organizzazione delle imprese, a partire da quelle di minori dimensioni. Secondo i dati Istat le donne in posizioni manageriali in Italia sono circa il 27% del totale. Il glass ceiling, – un termine per rappresentare gli ostacoli che le donne lavoratrici incontrano nella loro carriera per raggiungere posizioni di vertice – è ancora un fenomeno molto diffuso. Nelle posizioni manageriali le differenze di genere relative al reddito risultano molto elevate, pari a circa il 23%. Un elemento determinante di tali differenze è rappresentato dai figli: a quindici anni dalla maternità, i salari lordi annuali delle madri sono di 5.700 euro inferiori a quelli delle donne senza figli rispetto al periodo antecedente la nascita.

 

Recentemente il Governo, consapevole di questo ritardo strutturale, ha sviluppato alcune ulteriori iniziative.

Una prima si colloca all’interno della spinta che la Commissione Europea sta esercitando per la rendicontazione e la trasparenza sulle tematiche di sostenibilità, con una crescente attenzione alle tematiche sociali.

Nell’ambito più specifico del gender, la CE, nel marzo del 2020, ha predisposto il documento “Un'Unione dell'uguaglianza: la strategia per la parità di genere 2020-2025”, definendo obiettivi politici e azioni chiave per raggiungere la parità di genere entro il 2025. La strategia prevede la realizzazione di misure specifiche volte a conseguire la parità di genere, combinate a una maggior integrazione di tale dimensione “inserendo sistematicamente una prospettiva di genere in ogni fase dell'elaborazione delle politiche in tutti i settori di azione dell'UE, sia interni che esterni”.

In connessione con il livello europeo l’Italia ha a sua volta predisposto, nel luglio 2021, la Strategia Nazionale sulla Parità di Genere 2021-2025, di cui uno dei dispositivi legislativi è la Legge 5 novembre 2021 n. 162 sulla parità salariale. La legge introduce rilevanti novità, tra cui la modifica della nozione di “discriminazione indiretta” per includere atti di natura organizzativa o che incidano sull’orario di lavoro, la trasparenza nei dati, l’ampliamento delle aziende tenute alla presentazione ogni due anni del rapporto sul personale.

Così a partire dal 2022 in Italia è stato esteso l’obbligo di redigere il rapporto biennale sulla situazione del personale anche alle aziende con più di 50 dipendenti e quindi di fare disclosure rispetto alla composizione delle risorse umane divisa per genere. La disponibilità di queste informazioni costituisce una base di partenza per costruire azioni di supporto al miglioramento che possono essere messe in campo con il concorso di diversi attori: imprese capofiliera, banche e istituzioni finanziarie, istituzioni europee, nazionali e locali.

 

Ma l’iniziativa sicuramente più originale ed efficace è stata quella della certificazione di genere. Si tratta di una certificazione volontaria che le aziende più virtuose possono richiedere, agli organismi opportunamente accreditati, per attestare la conformità dell'organizzazione ai principi di parità tra i generi. Lo standard a cui ci si richiama è una prassi di riferimento: la UNI/PDR 125:2022. Non sarebbe una norma certificabile, essendo peraltro soggetta ad un processo di finalizzazione, ma la Presidenza del Consiglio dei Ministri ha voluto accelerare la sua applicazione, attraverso il Decreto del 29 aprile 2022 del Ministero delle Pari Opportunità con cui si recepisce tale PDR quale standard di riferimento per la verifica dei parametri minimi il cui raggiungimento è necessario per l'ottenimento della certificazione.

Le aree in cui è stata suddivisa la gestione della diversità di genere sono 6: cultura e strategia, governance, processi di gestione delle risorse umane, opportunità di crescita e inclusione, equità remunerativa, tutela della genitorialità e conciliazione vita-lavoro. Ogni area è articolata in un numero variabile di indicatori di performance (da 3 a 7, per un totale complessivo di 33), attraverso i quali misurare il grado di maturità dell’organizzazione attraverso un monitoraggio annuale e una verifica ogni due anni, in modo da dare evidenza del miglioramento ottenuto grazie alla varietà degli interventi messi in atto o del remediation plan attivato.

Solo le imprese più grandi (oltre i 250 addetti) dovranno però riferirsi al set completo degli indicatori, per le altre la compilazione richiesta è parziale, sino ad un solo indicatore per area per le microimprese (quelle tra 1 e 9 addetti). In sostanza, queste ultime potranno limitarsi con riferimento al tema della parità di genere ad: avere un piano strategico, definire un presidio all’interno della governance, mettere in campo processi di sviluppo delle risorse umane, migliorare la quota donne sull’organico (+10% rispetto al biennio precedente), ridurre la percentuale di differenza retributiva per medesimo livello di inquadramento e di competenza (-10% rispetto al biennio precedente), dotarsi di una policy sulla tutela della genitorialità e sui benefit correlati. Per ottenere la certificazione, che ha validità triennale, occorre raggiungere almeno il 60% del punteggio attribuito ad ogni classe d’impresa.

Il sistema, quindi, è stato pensato per spingere soprattutto le imprese minori ad impegnarsi per dare un’impostazione strategica e gestionale al tema della parità di genere, graduando l’impegno rispetto alle logiche proprie del miglioramento continuo e alle richieste interne ed esterne a cui sono sollecitate.

La certificazione di genere è un’iniziativa basata sulla volontarietà, ma fortemente incentivata all’interno del PNRR, Missione 5. Le aziende che abbiano ottenuto la certificazione saranno infatti esonerate dal versamento degli oneri contributivi, per un valore pari all'1% sulla generalità dei lavoratori dipendenti e fino ad un massimo di 50.000 euro annui. Inoltre, le PMI potranno usufruire di specifici contributi una tantum che consentono di coprire parte delle spese di consulenza e certificazione.

L’esperimento in corso sta riscuotendo un notevole successo: gli organismi accreditati, a partire dal marzo 2023, sono ben 46 e le imprese certificate erano a settembre 2023 oltre 920 (con più di 3.100 siti), numero largamente superiore alle più rosee aspettative. L’investimento di 10 milioni di euro previsto dal PNRR aveva infatti l’obiettivo di coinvolgere 800 aziende, di cui almeno 450 piccole e medie, cui si devono aggiungere altre 1000 che l’avrebbero ottenuta assieme a un'assistenza tecnica. Se il tasso di crescita rimarrà questo (e l’intensità dell’attività negli ultimi tre mesi dell’anno sembrerebbe confermarlo), prima della trasformazione della PDR in norma definitiva UNI prevista entro due anni potrebbero essere oltre 5.000 le imprese in Italia con questa nuova certificazione: un fenomeno senza precedenti nel mondo della normazione volontaria.

Il contesto è al proposito in continua evoluzione. Come gli addetti ai lavori sanno, gli ambiti nazionali (come l’UNI) sono chiamati a svolgere un ruolo propositivo (in una fase iniziale) e al tempo stesso di adeguamento agli standard internazionali. Infatti, quando dopo un lungo percorso si arriva ad avere una norma ISO questa sostituisce automaticamente gli standard nazionali esistenti.

Ora, da un lato l’ISO sta concludendo l’Iter per una norma specifica sul gender, dall’altro a livello internazionale esiste già da alcuni anni una norma Internazionale, la “ISO 30415:2021 – Human Resources Management – Diversity, Equity and Inclusion”, ovvero la Linea Guida di riferimento che supporta le Organizzazioni ad integrare nei propri sistemi di gestione i principi della valorizzazione delle diversità e della propria capacità di essere una azienda inclusiva.

Questa norma si colloca nella prospettiva più ampia, in cui il tema della parità di genere tende ad inserirsi nelle imprese e che chiama in causa le diverse forme di diversità (non solo il genere femminile, ma il sesso in senso più ampio, nonché l’età, la razza, la religione, ecc.) e più in generale l’equità nella gestione delle persone all’interno delle organizzazioni. Per le imprese è chiaro il business case: a fronte di una società e di contesti lavorativi in continua evoluzione e con sempre maggiore attenzione alla diversità e alle eventuali vulnerabilità, risulta cruciale adattare la struttura e la cultura aziendale al fine di rendere l’ambiente lavorativo aperto a tutte le risorse. L’eterogeneità, infatti, accompagnata da un processo di inclusione, permette di mantenere e sviluppare i talenti, migliorare le performance aziendali e, di conseguenza, la competitività. Non solo buone pratiche di gestione della diversità, equità e inclusione (DE&I) attraggono persone, investitori e consumatori, ma coadiuvano i processi innovativi e creativi, migliorano il clima interno, valorizzano l’equity di marca e la reputazione dell’azienda.

Diverse imprese italiane di grandi dimensioni hanno perciò sviluppato recentemente (la maggior parte di esse a partire dal 2022) una policy integrata DE&I, ovvero una dichiarazione dell’impegno formale per promuovere e sostenere un ambiente di lavoro inclusivo e rispettoso per le persone di ogni background. Oltre a fornire una dichiarazione chiara della mission e della vision, e pertanto dei valori e dei principi aziendali relativi alla diversità, all’equità e all’inclusione, una politica strutturata è altresì funzionale a definire le linee guida per l’adozione di pratiche e strategie che favoriscano e valorizzino la diversità e l’inclusione all’interno dell’organizzazione stessa, così come sistemi di misurazione attraverso KPI, come quelli che abbiamo visto in precedenza in modo sintetico rispetto al gender. I numeri però sono ancora piccoli: le imprese italiane all’interno del Gender Equality Index di Bloomberg sono solo 20 su 484.

Concludendo, se da un lato abbiamo visto come il governo italiano si sia fatto promotore, anche al fine di colmare un evidente gap,  di un’iniziativa pionieristica che sta avendo un notevole successo sulla certificazione di genere, accelerando l’applicazione di una norma specifica con un’attenzione particolare alle PMI; dall’altro vi è l’evoluzione internazionale che vede il tema della parità di genere integrato all’interno di una visione strategica della sostenibilità, della valorizzazione delle diversità e dei processi di inclusione. Entrambi sono processi virtuosi che le imprese sono chiamate a inserire strategicamente nei propri sistemi di gestione, ben consapevoli di quanto oggi sia importante caratterizzarsi per la propria capacità di garantire pari opportunità a tutti e di valorizzare al meglio le risorse chiave, a partire da quelle femminili, presenti all’interno e all’esterno dei propri confini aziendali.

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Questo numero di Impresa Progetto presenta all’attenzione degli studiosi, degli imprenditori, dei manager e dei policy maker un Manifesto – L’impresa che vogliamo – in cui si definisce una via d’uscita dalla prospettiva shareholder only e si delinea un percorso baricentrato sul purpose per guidare l’evoluzione delle imprese nella transizione verso un sistema economico sostenibile ed inclusivo, nel rispetto dei principi della responsabilità sociale e dell’etica oltre che dell’economicità, nella ricerca del bene comune.

Nel documento – redatto da L. Caselli, V. Coda, G. Donna e P.M. Ferrando e cofirmato da altri quindici studiosi – confluiscono i risultati di ricerche e riflessioni, sviluppate nel tempo, che trovano riscontro in contributi e lavori via via pubblicati su Impresa Progetto e dall’ISVI. Esso tiene conto tanto del dibattito teorico e della letteratura scientifica, a livello nazionale ed internazionale, quanto delle esperienze e delle buone pratiche poste in essere dalle migliori imprese, anche in tema di reporting di sostenibilità e di utilizzo della formula dell’impresa for benefit.

Su queste basi dunque è possibile identificare una decisiva prospettiva di cambiamento dell’impresa, in risposta alle sfide della tecnologia, dell’economia e della società.

Nel 2024, in occasione dei suoi venti anni, Impresa Progetto organizzerà un Convegno in cui discutere i temi ed i problemi individuati nel Documento. Intanto invitiamo i lettori interessati a segnalare la loro adesione al Documento e a contribuire fin d’ora al confronto con commenti ed approfondimenti che saranno pubblicati a partire dal prossimo numero della Rivista.

Qui di seguito viene presentato il contenuto di questo numero di Impresa Progetto.

Nella Sezione dei Saggi referati sono ospitati cinque paper, variamente giocati su temi a cavallo tra il diffondersi delle nuove tecnologie digitali, le ricadute della pandemia, il benessere dei dipendenti:

  • Antonio Capaldo e Paolo Calvosa (Evoluzione del grado di apertura delle piattaforme software e della platform leadership in un settore platform based) sottopongono ad una attenta e documentata analisi longitudinale lo sviluppo e le dinamiche competitive delle attività platform based attraverso il caso dei sistemi operativi per gli smartphone. Negli ultimi venti anni lo slittamento da modalità di protezione legale e di controllo della conoscenza di tipo strettamente gerarchico ad un approccio più aperto, mirato alla condivisione dei processi di sviluppo della conoscenza tra una pluralità di attori, ha aperto la strada ad una competizione dinamica caratterizzata da continuo cambiamento. Sono così tramontate le vecchie piattaforme incumbent a favore di un “duopolio sbilanciato” tra Google e Apple.
  • Barbara Iannone e Carlo Piretti (L’entrepreneurial orientation in epoca Covid-19: investire in intelligenza artificiale nel vitivinicolo. Il caso Fantini Group) esaminano una esperienza di investimento in Intelligenza Artificiale come reazione alla pandemia Covid-19. Il caso riguarda un’impresa del settore vitivinicolo ed i risultati dello studio mettono in luce gli aspetti positivi dell’applicazione dell’I.A. non solo in termini di incrementi di produttività ma anche di altri benefici di natura intangibile.
  • Beatrice Re e Francesca Sanguineti (Digital technologies as enablers of circular activities: an organizational perspective) affrontano il tema ancora poco esplorato del rapporto tra tecnologie digitali e pratiche dell’economia circolare, e del relativo impatto organizzativo. Il legame tra tecnologie digitali e grado di circolarità è esaminato, facendo riferimento all’esperienza di cinque startup italiane, attraverso uno studio di casi multiplo con il supporto di un modello esplicativo della circolarità e del grado di circolarità.
  • Angelo Rosa, Giuliano Marolla e Nicola Capolupo (Exploring the relationship between employee well-being and high-performance work systems (HPWS) in Italian SMEs) hanno rilevato l’impatto dei sistemi di lavoro avanzati sul benessere individuale somministrando un questionario a 321 dipendenti di 141 PMI italiane aventi analogo profilo strategico e competitivo. I risultati evidenziano un elevato impatto sui livelli di soddisfazione ed impegno, ma nessuna influenza sul piano dell’esaurimento emotivo. Le relazioni “principale-dipendente” emergono inoltre come fattore critico di attivazione di tali impatti.
  • Valentina Martino (Comunicazione di marketing alla prova della pandemia: le imprese raccontano) ha svolto nel periodo marzo-dicembre 2020 (il primo anno di Covid-19) una campagna di 101 interviste semi-strutturate a imprenditori, responsabili della comunicazione e altre figure di vertice appartenenti a 101 organizzazioni italiane dalla caratteristiche opportunamente differenziate, allo scopo di verificare quali cambiamenti la pandemia abbia indotto nelle strategie e nelle attività di comunicazione di marketing con clienti, clienti potenziali ed altri stakeholder. Dall’indagine emerge la svolta negli approcci, nei registri, negli obiettivi, anche valoriali, impressa di fronte al cambiamento dei comportamenti e delle priorità dei consumatori.

 

La sezione dei Contributi ospita poi una nota di Vittorio Coda su “Peter Drucker e il pensiero manageriale moderno” in cui, a partire da The practice of management  (1954), vengono ripresi e riproposti i capisaldi del pensiero del grande Autore americano in tema di impresa e di management. Per Drucker l’impresa ha una missione legata alla risposta alle attese del cliente (visto come centro di gravità del purpose), che ne fa il motore dello sviluppo economico e ne sconta una continua azione innovativa. Il management è una funzione basata su principi e buone pratiche, su strumenti e tecniche per governare sistemi (imprese ma non solo imprese) intrinsecamente complessi, e la bussola che deve guidarne le scelte è il bene dell’impresa. Come sempre nel caso dei “Classici” il tempo non appanna, e se mai anzi mutatis mutandis rafforza, il valore di queste indicazioni e chiavi di lettura.

 

Per la sezione dell’Ospite Nicoletta Buratti ha intervistato Gabriele Galateri di Genola, Presidente del Comitato Esecutivo dell’Istituto Italiano di Tecnologia. L’IIT compie venti anni di vita. Nell’intervista vengono ripercorse le tappe che hanno portato l’Istituto a diventare un centro di ricerca di primaria importanza a livello sia nazionale che internazionale, che sviluppa tecnologia e promuove il trasferimento tecnologico con un’intensa attività di lanci di Start up. Se ne descrivono le aree di attività ed il modello di governance. Se ne mettono a fuoco la missione, la filosofia e la cultura. Si sottolineano i punti di forza ed i fattori di successo dell’Istituto.

 

Nella sezione Recensioni e Riflessioni Pier Maria Ferrando presenta due libri che, approfondendone aspetti differenziati ma complementari, parlano di Bigh Tech (le grandi imprese del capitalismo digitale) discutendone gli impatti sull’economia, la società, la democrazia. Si tratta di Profeti, oligarchi e spie (Feltrinelli, 2023) di Franco Bernabè e Massimo Gaggi e de Il paradosso del profitto, come un ristretto gruppo di aziende minaccia il futuro del lavoro (FrancoAngeli, 2022) di Jan Eeckhout. I problemi affrontati non sono pochi e non sono da poco. Come è stato possibile che le idee libertarie della Silycon Valley degli anni ‘80 abbiano partorito imprese gigantesche, espressione di un capitalismo dominante e predatorio? Quali sono e come si manifestano le loro capacità di condizionamento delle scelte e dei comportamenti individuali e collettivi? Per contrastarle e riportarle sotto controllo è sufficiente ripensare le attività di tutela della concorrenza o non si pone anche il problema di un ruolo proattivo da parte pubblica sui temi dell’innovazione e della tecnologia?

 

Nella Sezione Segnalazioni e Aggiornamenti Francesca Serravalle (“Marketing and Retail”) indica ai lettori quattro paper focalizzati sui cambiamenti in tema di retailing emergenti nell’attuale scenario e Pier Maria Ferrando (“Verso una nuova impresa”) richiama due libri che raccontano esperienze imprenditoriali e manageriali legate a prospettive di cambiamento rispetto al modello dell’impresa shareholder only.

 

[1] Si veda ad esempio l’articolo di Giulia Ferrari, Valeria Ferraro, Paola Profeta e Chiara Pronzato, “Do Board Gender Quotas Matter? Selection, Performance, and Stock Market Effects”, pubblicato su Management Science, Volume 68, Issue 8, Pages 5618 – 5643, August 2022.