Dove vanno le nostre discipline. I contributi di Adalberto Alberici, Claudio Baccarani, Guido Corbetta, Gianfranco Rusconi, Dario Velo

Essays
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Accounting and Business Adm.
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Nell’editoriale di presentazione della rivista “Impresa Progetto” ponevo due interrogativi sui quali avviare una comune riflessione. Il primo interrogativo riguardava il senso di marcia delle nostre discipline aziendalistiche. Nella loro evoluzione – evoluzione in termini di contenuti, metodologie, tecniche – prevalgono fattori di convergenza o fattori di divergenza? I settori scientifico-disciplinari quanto si rivelano funzionali a una più efficace organizzazione del nostro lavoro o quanto invece rappresentano un condizionamento negativo rispetto al dispiegarsi di sinergie e alla possibilità di un approccio integrato nei confronti di nuove tematiche (la conoscenza, la governance, la responsabilità sociale, il valore, ecc.) che sempre meno si prestano a essere segmentate, settorializzate?
Il secondo interrogativo faceva riferimento al posto e al ruolo delle nostre discipline nell’ambito dei nuovi corsi di studio della Facoltà di Economia. Più precisamente cosa dobbiamo insegnare nelle lauree triennali, nelle lauree specialistiche, nei master, nelle scuole di dottorato? Continuiamo a “produrre” corsi di insegnamento, con doppioni e sovrapposizioni, litigando sulla suddivisione dei crediti tra i vari settori oppure mettiamo a fattor comune la nostra intelligenza per progettare e gestire, in termini innovativi, processi di apprendimento in ordine alle molteplici problematiche aziendali, secondo una trama capace di combinare saperi e abilità, fondamenti e specificazioni funzionali e settoriali, teorie e tecniche, collegamenti con le altre discipline economiche, giuridiche, quantitative?
E’ appena il caso di osservare che i due interrogativi richiamano, a loro volta, altre questioni collegate che, credo, devono essere adeguatamente esplicitate. Qual è il peso politico e culturale degli aziendalisti in relazione anche al moltiplicarsi degli ambiti e dei soggetti che studiano l’impresa (nelle Facoltà di Ingegneria, nelle società di consulenza, nella stampa specializzata, ecc.)? Quali sono i fattori di identità della nostra comunità e soprattutto come ci “riproduciamo” e quindi cosa chiediamo e cosa offriamo ai giovani che vogliono intraprendere la “carriera” universitaria nelle discipline aziendali?
Concludevo l’invito al dibattito sui due interrogativi con questa affermazione che desidero ulteriormente a rilanciare. Le presunzioni di autosufficienza sono destinate a pagare sempre meno. Abbiamo bisogno di studiosi, il riferimento è ancora ai giovani, il cui obiettivo sia la comprensione non autarchica dei problemi delle imprese nella loro concretezza e completezza, nella loro proiezione storico-evolutiva, nel loro quadro istituzionale, sociale, culturale.
Alle “provocazioni” contenute nell’editoriale hanno risposto i colleghi Adalberto Alberici, Claudio Baccarani, Guido Corbetta, Gianfranco Rusconi e Dario Velo i cui interventi sono qui di seguito riportati.
Guido Corbetta e Gianfranco Rusconi, appartenenti entrambi al settore di economia aziendale, forniscono letture e proposte differenziate.
Per Corbetta i cambiamenti in atto nei sistemi economici e produttivi, le spinte verso una competizione globale sono tali da richiedere profondi rimescolamenti di carte a livello di ricerca e di organizzazione disciplinare e didattica. I settori vanno ripensati su nuove polarizzazioni: accounting e finance; management; organizzazione; marketing; produzione. Tutto ciò non può però essere improvvisato. Tra le varie competenze aziendali occorre sviluppare una cultura tanto della competizione quanto della collaborazione. L’investimento nei giovani è essenziale creando opportunità di incontro; nel contempo non viene meno l’indispensabilità dei Maestri. Per quanto riguarda l’organizzazione didattica Corbetta sembra prefigurare un processo di progressivo approfondimento scientifico passando dalle lauree triennali, alle specialistiche, ai corsi di dottorato, lasciando ai master l’obiettivo della professionalizzazione su tematiche specifiche.
Per Rusconi ci si deve confrontare con il cambiamento avendo ben presente che l’aziendalismo italiano ha una sua specificità, una storia e un corpo dottrinale che vengono da lontano e nel cui ambito sono rinvenibili elementi e aspetti che oggi vengono presentati come novità.
L’interdisciplinarietà, le collaborazioni sono auspicabili evitando però indistinte “melasse” di cui è difficile individuare il valore aggiunto scientifico.
Nella visione ortodossa di Rusconi l’economia aziendale resta al centro del sistema, una economia aziendale nella quale l’analisi delle condizioni di sviluppo non può essere disgiunta dalla quantificazione contabile, un’economia aziendale- che proprio perché resta tale – è in grado di misurarsi con altri saperi e discipline. Per quanto riguarda l’organizzazione didattica di particolare interesse si rivelano le considerazioni che Rusconi fa in tema di collocazione degli insegnamenti aziendali nella laurea triennale strutturata ad Y. Insegnamenti che dovrebbero differenziarsi a seconda dell’obiettivo metodologico oppure professionalizzante del corso di laurea. Il settore di economia e gestione delle imprese è rappresentato dai colleghi Claudio Baccarani e Dario Velo.
Per Baccarani l’impresa va reinterpretata con gli “occhi del futuro” ben radicati però nell’esperienza del passato. In questa prospettiva la rivista Sinergie ha avviato un importante momento di riflessione che dovrebbe concretizzarsi nella stesura di un “manifesto dell’impresa che verrà”. Tra i grandi raggruppamenti disciplinari – in particolare tra economia aziendale e economia e gestione delle imprese – vi sono differenze di visione e di impostazione. Ciò non è un ostacolo ma un valore per il procedere della ricerca che ha bisogno tanto della “costruzione aziendale” quanto del “senso dell’impresa”. Le differenze, le distinzioni vanno però portate a sistema. In caso contrario finirebbero per chiudersi in loro stesse e rifluire in sterili particolarismi. Per impedire ciò vi è una sola strada, quella della “pratica del dibattito scientifico”.
L’intervento di Velo, di grande spessore culturale, colloca l’oggetto del dibattito in una prospettiva storica e in particolare sul ruolo di Zappa e di Saraceno nello sviluppo dell’aziendalismo. La scelta di Zappa – all’inizio degli anni ’20 – di creare alla Bocconi l’Istituto di Ragioneria poggia sulla distinzione tra economia pubblica ed economia privata ovvero sull’esistenza di una linea di confine tra stato e mercato a tutela dell’autonomo operare di quest’ultimo. Saraceno, negli anni ’50, abbatte tale confine cercando soluzioni innovative per un pubblico che può stare sul mercato rispettandone le regole. Ma oggi? I processi di globalizzazione sembrano assolutizzare il ruolo del mercato a fronte dell’irrilevanza dello stato. Per Velo non è questa la prospettiva. La gestione di un mercato mondiale richiede una nuova statualità. Il riferimento d’obbligo è costituito dall’Europa e dalle teorie del federalismo e della sussidiarietà. Qui sta la possibilità di un nuovo umanesimo rispetto al quale il pensiero di Saraceno può dare ancora stimoli rilevanti.
Infine Adalberto Alberici propone un’originale chiave interpretativa dell’evoluzione del settore disciplinare di economia degli intermediari finanziari, individuando i principali fattori che hanno determinato tale evoluzione: le nuove tecnologie, la pressione competitiva, i cambiamenti nelle esigenze della clientela, la volatilità dei mercati, la dialettica regolamentare, ecc. Il settore poggerà sempre più su tre pilastri, rilevanti per la ricerca e la didattica: la struttura dei sistemi finanziari; l’economia dei mercati mobiliari; la gestione degli intermediari finanziari. Tutto ciò presuppone la capacità di coniugare la prospettiva macroeconomica e l’approccio aziendalistico; l’analisi dei settori e l’economia degli operatori. Mi chiedo se questo ragionamento è specifico di un particolare settore scientifico disciplinare o non possa anche essere applicato – per analogia – ad altri comparti. Per esempio a quello industriale. Vale la pena di rifletterci.

Il dibattito non termina qui. Intendiamo continuare ad alimentarlo in vista anche del Convegno annuale dell’AIDEA che avrà per oggetto il presente e il futuro degli studi di economia aziendale e di management in Italia.