Ripartire dal Mezzogiorno

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L’espressione "Cresci – Italia" identifica in maniera emblematica la fase 2 della manovra posta in essere dal Governo Monti. Dopo il rigore occorre per lo sviluppo come condizione indispensabile per dare un senso non recessivo ai sacrifici, garantendo al tempo stesso un livello adeguato di equità. Liberalizzazioni da un lato e riforma del mercato del lavoro occupano una posizione preminente nel dibattito attuale. Vi sono però altre tematiche ugualmente rilevanti. Tra queste sicuramente il Mezzogiorno, per il quale si attendono non solo misure urgenti, di impatto immediato – interventi infrastrutturali, velocizzazione delle procedure di spesa – ma anche segnaletiche di modalità innovative nell'impostare i problemi. In questa prospettiva ci proponiamo di richiamare alcuni aspetti della questione, sollecitati anche da alcuni Colleghi di Università del Sud da cui proviene l'invito ad aprire sulla Rivista uno spazio di confronto e di proposta. Lo facciamo ben volentieri.
 
Non c'è indicatore socioeconomico che non segnali l' "arretratezza" del Mezzogiorno rispetto alle aree del Centro – Nord. Una valutazione di sintesi è fornita dal prodotto interno lordo per abitante: 17.324 euro contro quasi 30.000, con un differenziale di 40 punti in percentuale. Ben lo sappiamo, i divari rappresentano una costante nella storia del nostro Paese e in questi ultimi tempi hanno registrato un’accentuazione. Divari nei fondamentali dell’economia (al Pil pro capite possiamo aggiungere i tassi di attività e di occupazione, il livello degli investimenti, la ricchezza delle famiglie, i dati Ocse Pisa e così via). Divari particolarmente pesanti nella dotazione dei servizi essenziali sia per il benessere e la libertà dei cittadini sia per l’efficienza e la concorrenzialità delle imprese.
 
Il problema è reale, ma non è suscettibile di banalizzazioni tanto fuorvianti quanto, talvolta, interessate. La banalizzazione, ad esempio, delle due Italie, tra loro contrapposte. Una, capace di competere con successo con le regioni più sviluppate dell’Europa; l'altra, collocata ai margini, sempre più simile alle zone povere dell'Unione Europea.
 
Un ministro autorevolissimo del precedente Governo in un convegno tenuto nello scorso maggio parlò di un Sud "zavorra", "palla al piede" rispetto a un Nord scalpitante e voglioso di innovare. A ben vedere, questa è anche la posizione di autorevoli studiosi che arrivano a teorizzare l’esistenza di una "questione settentrionale" ovvero di un Nord impoverito da un Sud, pozzo senza fondo rispetto a risorse pubbliche che sarebbero ben più produttive se spese altrove. Credo valga la pena ristabilire la realtà dei fatti e delle situazioni.
 
Non c'è una parte dell’Italia che va bene e un'altra che va male. Come ha sottolineato Mario Draghi qualche tempo fa tutto il Paese – nella sua interezza, Nord compreso – presenta problemi di crescita e di competitività. In altri termini non esiste alcuna correlazione tra l'"arretratezza" del Sud e l'andamento non soddisfacente dell'economia complessiva.
 
A ben vedere, in tutti questi anni il Mezzogiorno è risultato, in qualche misura, funzionale al sostegno del Centro – Nord. Si pensi, in primo luogo, al trasferimento di capitale umano. L'emigrazione è ripresa da un decennio, meno consistente rispetto ad un tempo ma di più elevata qualità, con la presenza massiccia di giovani ad elevata scolarizzazione e desiderosi di valorizzare i propri talenti. La Fondazione Curella ha stimato che la fuga dal Sud equivale a un travaso di risorse pari a 15 miliardi anno. In secondo luogo, continua il drenaggio da parte del sistema bancario che raccoglie fondi nelle regioni meridionali per impiegarli nelle aree centro-settentrionali. In terzo luogo, non si trascuri il fatto che il Sud - da sempre un importatore netto - costituisce un significativo mercato di sbocco per il resto del Paese.
 
Abbiamo dianzi accennato all'immagine di un Sud divoratore di risorse pubbliche. La questione merita qualche precisazione. I flussi finanziari di cui il Mezzogiorno è stato ed è destinatario – per quanto rilevanti – sono, specie in questi ultimi tempi, molto meno di quello che avrebbero dovuto essere. In altri termini abbiamo assistito a una sorta di "tradimento" del principio di addizionalità delle risorse. In particolare, i fondi speciali dell'Unione Europea e i fondi FAS non si sono aggiunti ma hanno sostituito quote rilevanti di spesa ordinaria che lo Stato non era più in grado di garantire. A fine anni '90 il Governo si era dato un obiettivo ben preciso: il 45% della spesa in conto capitale (Unione Europea, FAS, risorse ordinarie) doveva riguardare il Sud nell’ambito della politica di coesione. In realtà ci si è fermati al 30%.
 
La quantità impatta sulla qualità della spesa pubblica. Una spesa pubblica sovente frammentaria, non a sostegno di investimenti propulsivi, ma spesso e volentieri di consumi improduttivi e di facciata, gestita in maniera non trasparente, inefficiente, clientelare, con infiltrazioni malavitose. La storia viene da lontano. Nel corso degli anni l'impegno pubblico nei confronti del Mezzogiorno è stato, in non pochi casi, una sorta di prezzo che occorreva pagare per avere le mani libere su altri fronti e nel contempo poter contare sull'alleanza di chi a scala locale gestiva i flussi di spesa monetizzando un consenso a buon mercato.
 
A un modello interpretativo fondato sulla contrapposizione dualistica tra Nord e Sud – quasi fossimo in presenza di un gioco a somma zero – occorre sostituire un'ipotesi di ragionamento (si veda tra l'altro l'ultimo rapporto Svimez) profondamente diversa. Questa in buona sostanza. Il Mezzogiorno anticipa, amplifica i limiti e i bloccaggi di tutto il Paese. Prefigura un futuro fatto di disoccupazione giovanile, precarietà diffusa, dequalificazione della base industriale, involuzione del settore pubblico, corruzione e illegalità, egoismi individuali e corporativi. Luca Paolazzi, su Il Sole 24 Ore, ha usato un'espressione quanto mai incisiva. "Tutto il Paese è bloccato dalle stesse cause che al Sud si presentano al cubo".
 
Da una circolarità viziosa occorre passare a una circolarità virtuosa. Questa è la sfida di una nuova politica di sviluppo per il nostro Paese. Sviluppo economico, sociale, culturale, morale. Uno sviluppo che non nega il rigore ma che è capace di integrare crescita, coesione, solidarietà, rimozione degli squilibri, valorizzazione di tutte le risorse e potenzialità. Mario Draghi è molto chiaro al riguardo allorquando afferma che abbiamo bisogno di politiche generali, aventi obiettivi riferiti a tutto il Paese per poi concentrarsi sulle condizioni ambientali che influiscono sulla loro maggiore o minore efficacia con riferimento alle diverse aree territoriali.
 
In questo ordine di idee il Mezzogiorno rappresenta un problema, ma al tempo stesso è anche una soluzione o meglio una grande opportunità per il bene di tutti. Per crescere di più nel suo insieme l'Italia ha bisogno dello sviluppo del Mezzogiorno. Nel Sud c'è un grande divario tra le risorse disponibili (umane, ambientali, relazionali ) e i risultati effettivamente conseguiti. Ciò a motivo sia del sottoutilizzo e anche spreco delle risorse stesse sia delle difficili condizioni in cui operano i diversi soggetti (imprese, università, scuole, organizzazioni della società civile). Intervenire con politiche mirate e partecipate può contribuire a liberare un potenziale di crescita enorme, a vantaggio – lo ripetiamo – di tutto il Paese nell’ambito appunto di una circolarità virtuosa: più imprese, più occupazione, più domanda, meno assistenza, più gettito fiscale, meno debito.
 
Nel Sud ci sono eccellenze e talenti in misura considerevole: purtroppo non fanno sistema, non fruttificano. Il futuro del Mezzogiorno – inteso come realtà complessa e differenziata – dipende dalla capacità di una progressiva autonomizzazione scientifica, tecnologica e produttiva, ovviamente non per via autarchica, ma facendo valere a pieno le relazionalità, le interdipendenze attivabili in un mutato quadro di politica economica nazionale. Occorre pertanto creare sinergie efficaci tra alcuni elementi chiave, così sintetizzabili:
 
  • Da un lato, il sostegno e la valorizzazione dei tessuti distrettuali, presenti anche al Sud, attraverso la combinazione di realtà produttive localizzate e di patrimoni storico culturali consolidati nel tempo. Dall'altro, la riattualizzazione delle grandi polarizzazioni industriali, viste anche come fattore di traino per le piccole e medie imprese che possono trovare nel rapporto con la grande impresa non un fattore di dipendenza bensì uno stimolo alla diversificazione e alla internazionalizzazione;
  • L'efficienza e l'efficacia gestionale delle diverse reti su cui circolano le conoscenze, le cose, le persone, gli stimoli ad innovare. Più in generale occorre creare un ambiente, un assetto urbano congruenti con la quantità e qualità di sviluppo che si vuole avviare (servizi reali territoriali prima ancora che strettamente industriali);
  • La diffusione di una capacità di accoglimento degli stimoli alla modernizzazione e delle nuove tecnologie da parte del tessuto tecnico-produttivo, creando cioè le condizioni (culturali, di fornitura di servizi qualificati, ecc.) per far nascere e diffondere una diversificata e propulsiva domanda di protagonismo e di crescita. Sotto questo profilo la formazione di imprenditoria giovanile in forma cooperativa è di fondamentale importanza. La domanda potenziale va però suscitata, organizzata e strutturata. Occorre una rete di partner che aiuti gli aspiranti imprenditori a tradurre l'intuizione in piano di impresa, verificato e contrattato con i diversi soggetti economici ed istituzionali che forniranno risorse, assistenza tecnica e operativa;
  • La creazione di punti di snodo per l'accumulazione e la distribuzione di know-how nel sistema complessivo (si pensi all'Università intesa non come corpo separato, ma come realtà integrante, alle istituzioni di ricerca, ai parchi scientifici, ecc.);
  • Progettazione di funzioni di interfaccia, raccordo, ricomposizione. Sotto questo profilo le Regioni e i loro organismi potrebbero fare molto, ad esempio, esplicitando i macro interventi e facendo sì che essi esercitino un ruolo mobilitante e trainante nei confronti delle risorse e delle potenzialità locali; ricomponendo sul territorio la molteplicità di leggi e strumenti nazionali e comunitari oggi frammentati ed eterogenei; organizzando la domanda pubblica di determinati beni e servizi e facendo sì che  essa possa incontrarsi con una offerta locale di cui si vuole stimolare la razionalizzazione e la ristrutturazione.
Il Mezzogiorno, con la sua dotazione di risorse umane, ambientali, storiche e culturali, può fare molto – riprendo il leit motiv di questo editoriale – per tutto il Paese nell’ambito di una rinnovata politica economica e sociale. Può contribuire a meglio posizionare l'Italia nel mutato quadro di relazioni – multipolari e multilaterali – tra nord e sud, tra est ed ovest. La globalizzazione amplia le opportunità. Il Mediterraneo diventa un crocevia strategico per i flussi commerciali, per gli scambi scientifici e culturali. La prossimità con Turchia, Egitto, Maghreb ovvero con realtà percorse da grandi fermenti e in forte crescita può costituire per il Mezzogiorno un carta vincente. Il Mezzogiorno può altresì aiutare l'Italia a giocare di anticipo (o non perdere l'autobus) con riferimento a taluni settori tecnologicamente avanzati e sostenibili nell'ambito, ad esempio, delle energie rinnovabili e più in generale della green economy. I pannelli solari o le pale eoliche sono soltanto la punta di un iceberg fatto di ricerca, applicazione di ICT, attività manifatturiere, ecc. Nelle regioni meridionali esistono indubbi punti di forza e condizioni favorevoli,
 
Poche osservazioni conclusive. Come ha osservato il Presidente Napolitano, per il nostro Paese non c'è alternativa al "crescere insieme" e il crescere insieme significa crescere di più e meglio. Una crescita – si veda il documento Europa 2020 – che deve essere intelligente, inclusiva, sostenibile. Trattasi di sfida non facile, stante i molti fattori di freno che operano a livello sociale, culturale, comportamentale e che nel Sud assumono valenze e incidenze peculiari. Alla radice di molti problemi del Mezzogiorno sta la carenza di fiducia tra i cittadini, tra i cittadini e le istituzioni; sta di conseguenza il clientelismo e soprattutto l'affidamento ai potenti.
 
Il rapporto LUISS del 2011 sulla classe dirigente in Italia evidenzia per il Mezzogiorno una sensazione di smarrimento da parte della popolazione, insoddisfazione, inquietudine, rabbia ma è la rassegnazione che finisce con il prevalere. La rassegnazione demotiva, porta al disimpegno, impedisce il dispiegamento delle potenzialità. E’ da qui che occorre ripartire per costruire il futuro. Partire dalla fiducia, dalla trasparenza, dalla cooperazione, dalla volontà di prendere parola contro tutte le omertà di comodo, di rischiare, dalla creazione di masse critiche prima di tutto a livello culturale capaci di trascinare e fertilizzare il contesto. Ciò vale non solo per il Mezzogiorno ma per tutto il Paese.
 
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Il nuovo numero di Impresa Progetto è, come di consueto, ricco e articolato, caratterizzato dalla presenza sia di numerose verifiche empiriche sia di contributi di studiosi di altre discipline.
 
Nella sezione saggi, Liana Fadda e Roberto Garelli propongono un modello per la valutazione delle performance nelle imprese di shipping, operanti in concessione nei terminal marittimo portuali. Tale modello combina e integra, avvalendosi di opportuni indicatori e metriche, le prospettive economico finanziaria, del cliente e del traffico, degli investimenti, dei processi interni, del contesto socio ambientale in cui l’impresa opera e nel cui ambito l'Autorità Portuale dovrebbe assolvere a un ruolo di stimolo e di promozione.
 
I metodi di ottimizzazione propri della ricerca operativa trovano nell'ambito della grande distribuzione organizzata un ambito di impiego di grande efficacia. Come emerge dallo studio condotto da Valentina Alloisio e Anna Sciomachen l'impiego di tali metodologie può consentire radicali razionalizzazioni nell'uso delle risorse dedicate al trasporto e al trattamento delle merci con notevoli economie in termini di costi logistici così come risulta dal caso aziendale analizzato.
 
Il saggio di Pina Puntillo, Paolo Tenuta e Daniele Sposato approfondisce il ruolo che gli investimenti pubblici rivestono nella crescita economica e nella attrattività dei territori. All'analisi attenta della letteratura in materia, gli Autori affiancano un'analisi econometrica attraverso la quale viene misurata la correlazione tra il capitale fisico pubblico e i processi di sviluppo territoriale. In questo ambito - e nella prospettiva del federalismo fiscale – il ruolo degli enti locali risulta enfatizzato specie se le loro scelte vengono collocate in un’ottica strategica.
 
Anna Cossetta e Mauro Palumbo presentano un'interessante analisi sociologica su come gli abitanti della provincia di Savona, un'area caratterizzata da intensi processi di invecchiamento, vivono il territorio e le sue prospettive, un territorio già connotato dalla massiccia presenza della grande industria, in oggi sostituita – anche nell’immaginario collettivo - da un turismo che sembra generare una nuova identità e una migliore qualità di vita rispetto a ciò che si ritiene possa essere garantito dal settore manifatturiero, ritenuto necessario ma non auspicabile.
 
Il saggio di Maria Cristina Bonti e Enrico Cori affronta il tema della longevità delle PMI familiari mettendo in relazione da un lato le caratteristiche dei processi di successione imprenditoriale e dall’altro la dinamica delle competenze che alimentano il vantaggio competitivo aziendale. Le riflessioni teoriche e le evidenze empiriche relative a sei imprese centenarie portano gli Autori ad individuare nella integrazione consapevole tra competenze legate alla tradizione familiare e competenze innovative il fattore determinante della capacità dell’impresa di durare nel tempo.
 
Le tensioni manifestatesi nei mercati finanziari a partire dal 2007 e la conseguente insolvenza di alcuni intermediari hanno conferito al tema del rischio di liquidità una priorità assoluta nell’agenda internazionale. In questa ottica si colloca il nuovo schema regolamentare di Basilea 3. Trattasi di argomento complesso di cui Francesca Querci nel suo saggio esamina criticamente le implicazioni evidenziando in maniera puntuale i nodi che restano tuttora aperti.
 
La sezione "contributi e working paper" si apre su un tema di grande interesse: il rapporto tra turismo e sviluppo territoriale nell'ottica della sostenibilità. Prendendo lo spunto da un convegno, tenutosi recentemente presso il Polo universitario di Imperia, nell’ambito del quale sono state richiamate le linee di ricerca dello specifico Gruppo di Studio e Attenzione dell'Aidea, Clara Benevolo e Mariangela Franch con Umberto Martini e Maria Della Lucia presentano alcune stimolanti considerazioni riguardanti rispettivamente la situazione dei porti turistici e il caso Dolomiti.
 
Nell'ambito degli "working paper" la Rivista ha voluto dare spazio a due significativi contributi – opportunamente rivisti e integrati dagli Autori – presentati al XVI convegno annuale Aidea giovani (Cagliari, 18 – 19 novembre 2011). Il primo di Angelo Bonfanti si interroga, sulla base anche di una indagine esplorativa, sul ruolo che l'impresa commerciale può assolvere nell'educazione del consumatore alla sostenibilità. Ciò sul presupposto che il valore non è più trasferito dall'impresa al cliente, ma co-prodotto insieme ad esso e condiviso. Per questa strada si rafforza la competitività e si genera sviluppo economico e sociale. Il secondo paper di Mario Turco e Roberta Fasiello affronta una tematica complementare a quella sviluppata nel saggio di Bonti e Cori. Il passaggio generazionale rappresenta nell’economia dell'impresa familiare uno snodo cruciale per la creazione del valore. L’elemento chiave sta nel patrimonio intellettuale consolidatosi nel tempo e nella sua possibilità di trasferimento nella intersezione tra azienda, imprenditore e i diversi componenti della famiglia.
 
La sezione si conclude con il paper predisposto da Vincenzo Fasone e Pasquale Maggiore. Lo studio evidenzia come le gestioni aeroportuali, in questi ultimi decenni, si siano caratterizzate per significative trasformazioni. Al core business legato agli aspetti infrastrutturali e di transito si sono progressivamente affiancati altre fonti di creazione di valore, sempre più rilevanti ai fini della determinazione del reddito netto globale. Si parla a questo proposito di dimensione "non aviation" che gli Autori verificano con riferimento alla società di gestione dell’aeroporto di Olbia.
 
Due interviste, condotte rispettivamente da Sara Cepolina con Roberta Scarsi e da Lara Penco completano questo numero della Rivista. La prima, con Pierino Persico, è la storia di un imprenditore nato dal nulla che nel corso di alcuni decenni ha saputo costruire una media impresa di successo. La seconda, con Gianni Rotondo – general manager di Royal Caribbean Cruise Line Italia – ha per oggetto le strategie di penetrazione nel Mediterraneo della grande multinazionale croceristica.
 

Da ultimo salutiamo l'ingresso nel Comitato scientifico di Impresa Progetto di P.Maria Joseph Christie SJ, rettore del Loyola Institute of Business Administration, un'importante business school indiana operante nella zona di Chennai e di Livia Ablonczyné Mihályka, docente di sociolinguistica applicata all'economia nell'Università ungherese di Gyor. Ci auguriamo di poter contare quanto prima sul loro contributo.