L'azionariato dei lavoratori e il futuro del sindacato

Editorials
On issue: 
Authors: 

Con la recente presa di posizione del ministro del Welfare, il tema dell'azionariato dei lavoratori è ritornato di attualità. In una fase da molti definita "post ideologica" si ritiene sia possibile passare, nell'ambito delle relazioni industriali, da un approccio conflittuale ad uno di tipo cooperativo, ricorrendo - se del caso - a iniziative legislative di sostegno, concordate e accettate tra le parti. La proposta, che sta suscitando notevole interesse, solleva tuttavia questioni complesse che meritano adeguato approfondimento a partire dall'impatto che essa può avere sul futuro del sindacato.

Che il sindacato si trovi oggi in una situazione non facile è fuori discussione. Siamo in presenza di una organizzazione che fatica non poco a cogliere le trasformazioni in atto nella domanda di lavoro e nei modelli di impiego, impossibilitata sia a fare sintesi tra valori, orientamenti, identità, stili di vita sempre più diversificati sia a gestire veri e propri conflitti di interesse tra lavoratori dei settori concorrenziali e lavoratori dei settori protetti, tra giovani e anziani, tra uomini e donne, tra insider e outsider.

Così stando le cose il sindacato sembrerebbe rischiare lo piazzamento e quindi un inarrestabile declino. Non necessariamente deve essere così. I vincoli e i condizionamenti potrebbero trasformarsi in occasioni, aprire nuovi spazi per la presenza e l'azione del sindacato. Un sindacato, in certo qual modo, plurale, proiettato nella sfera istituzionale ma che non rinuncia al suo radicamento sociale, attento alle condizioni di lavoro e alla loro evoluzione, che assume la fornitura di servizi come un ponte tra lavoro e welfare, che cerca di promuovere condizioni favorevoli all'assunzione di responsabilità partecipative - a livello decisionale, finanziario, operativo - da parte dei suoi rappresentati nelle diverse realtà della vita economica e sociale.

Nell'orizzonte strategico del sindacato la partecipazione può giocare un ruolo di fondamentale importanza. Come noto esiste una versione leggera della partecipazione (informazione, consultazione, quote di salario legate ai risultati, ecc.) e una versione forte che può esprimersi tanto nella partecipazione dei lavoratori alle decisioni e al funzionamento organizzativo dell'impresa quanto nella partecipazione collettiva degli stessi al capitale con la presenza di propri rappresentanti negli organi societari (consiglio di sorveglianza, collegio sindacale). Orbene, questa versione forte può essere assunta come scelta qualificante del sindacato italiano, può trovare ambito di sperimentazione nella realtà del nostro Paese, cominciando eventualmente da talune tipologie di imprese, quali ad esempio le concessionarie pubbliche?

Impostiamo il problema nei suoi termini generali a partire dalle questioni ineludibili della governance e del controllo. Nell'impresa è ravvisabile la coesistenza di due distinte sorgenti di legittimazione del potere: l'una delegata dalla proprietà delle risorse finanziarie investite; l'altra dai prestatori di lavoro e di professionalità attraverso la loro rappresentanza tipicamente sindacale. La dinamica evolutiva dell'impresa è poggiata largamente sul gioco dialettico, sull'interazione di queste due forme di legittimazione, trovando in ciò un fattore di propulsività e di innovazione.

Non vi è dubbio che la tematica della partecipazione si colloca storicamente in questo sistema di coordinate: ora promossa dall'imprenditore attraverso la predisposizione di condizioni organizzative atte a valorizzare e incentivare le risorse umane e professionali dei dipendenti in maniera funzionale agli obiettivi di impresa; ora ascrivibile all'iniziativa dei lavoratori e del sindacato con l'intento di materializzare in norme, procedure, istituti, assetti contrattuali, validi protempore, il potere dei lavoratori stessi (in via diretta o per rappresentanza) sui processi decisionali e operativi dell'impresa.

La situazione si presenta oggi in un contesto di grande complessità e articolazione. I due termini - capitale e lavoro - tanto nella loro essenza quanto nelle loro relazioni sono in discussione. Il lavoro vede moltiplicarsi i propri statuti, modalità di esplicazione, motivazioni e appartenenze dentro l'impresa e fuori l'impresa; può diventare soggetto attivo dei processi di accumulazione. A sua volta il capitale si socializza, si diffonde e anche si istituzionalizza in nuovi attori economici. L'investimento nei fattori immateriali fa premio su quello nei fattori fisici e materiali e nel contempo il management, liberato dalla sudditanza nei confronti della grande proprietà familiare, potrebbe proporsi come punto di riferimento per tutti gli stakeholders interessati al benessere e alla crescita dell'impresa.

In quest'ottica di mutamento, la partecipazione dei lavoratori tanto nell'impresa attraverso il loro responsabile coinvolgimento decisionale e operativo quanto all'impresa attraverso il concorso alla definizione del suo dover essere e dei suoi obiettivi generali assume, oggi, una molteplicità di manifestazioni ed espressioni tra loro strettamente connesse. Relazioni interne, relazioni contrattuali, relazioni partecipative si combinano reciprocamente in contesti ove il trade off tra rapporti di forza o conflittuali da un lato, condivisione degli obiettivi, esplicitazione di regole di comportamento e di rappresentanza dall'altro è destinato a cambiare drasticamente a vantaggio di questi ultimi elementi, con la conseguente necessità per il sindacato (ma anche per le imprese) di un grosso sforzo di riposizionamento culturale e operativo.

Il coinvolgimento del lavoro nella definizione del dover essere dell'impresa e dei suoi obiettivi strategici e quindi la sua possibilità di influenzare le scelte della proprietà di controllo e del management può trovare nella partecipazione dei lavoratori al capitale azionario, con la conseguente presenza negli organi societari, il punto di innesco ovvero il fulcro per discorsi più puntuali che, muovendo dagli assetti di "corporate governance", investono la tematica della democrazia economica a livello di sistema.

A questa conclusione si può controbattere che l'azionariato dei dipendenti non è in grado di tradursi in maggior potere di controllo e che pertanto non può essere caricato di eccessivi significati. Credo che siffatta valutazione non tenga sufficientemente conto delle trasformazioni in atto e che soprattutto discenda da un pregiudizio ideologico che vede nel lavoro un soggetto collettivo per il quale l'impresa è una realtà "altra" rispetto a se stesso, una realtà con la quale confrontarsi, rivendicare, negoziare, fare degli accordi tenuto conto dei rapporti di forza, senza però compromettersi con i meccanismi istituzionali e gestionali dell'impresa medesima, le cui premesse restano prerogativa della controparte. E il lavoro - così si afferma - non può essere nell'impresa capitalistica controparte di se stesso. A risultati non dissimili si perviene altresì muovendo da altre ottiche valutative, quelle - ad esempio - che continuano a vedere nel lavoro un mero fattore della produzione, certamente intelligente, da coinvolgere, valorizzare, associare alle sorti dell'impresa a patto però che ciò non porti ad intaccare la legittimazione del potere aziendale.

Qualora si assumano realisticamente le trasformazioni in atto ci sembra che l'azionariato dei lavoratori presenti in prospettiva non pochi punti di forza che discendono dal fatto che esso può costituire sia un "collante" rispetto alle altre forme e momenti partecipativi, sia un ponte capace di collegare aspetti micro e aspetti macro, interessi individuali e interessi collettivi. Ovviamente per contare il possesso azionario dei lavoratori deve essere collettivamente gestito, attraverso associazioni che si configurano come investitori pronti a stabilire alleanze con alcuni e ad opporsi altri. Richiamo sinteticamente alcuni passaggi:

A) La partecipazione del lavoro al capitale d'impresa conferisce, in qualche misura, stabilità e soprattutto radicamento all'impresa stessa evitando le degenerazioni di un capitalismo invisibile e imprendibile, totalmente svincolato dalle esigenze ma anche dagli apporti in termini di cultura, valori, professionalità, relazionalità che possono provenire dalle comunità territoriali di riferimento, produttrici di quel "capitale fisso sociale" che si rivela sempre più fattore di competitività e di successo;

B) I lavoratori azionisti, interessati e coinvolti nello sviluppo dell'impresa, attenti alla qualità e quantità dell'occupazione, possono rappresentare un antidoto salutare contro la divaricazione tra dinamica reale e dinamica finanziaria, ponendo quest'ultima al servizio di un disegno di crescita che, nel mentre crea benessere per tutti gli stakeholders dell'impresa, concorre altresì alla valorizzazione del suo capitale finanziario;

C) La partecipazione dei lavoratori al capitale sociale rafforza, come detto dianzi, le altre forme e momenti partecipativi (alle decisioni, alla gestione, ai risultati, ecc.) creando nel contempo un clima di consenso e di fiducia che, nel mentre può contribuire ad accrescere (nel medio periodo) la redditività dell'impresa, crea risorse addizionali, spendibili anche - secondo una circolarità virtuosa - nella tradizionale attività negoziale e contrattuale;

D) La presenza del lavoro nel capitale e negli organismi sociali rappresenta una via originale per la realizzazione di forme di economie di mercato capaci di combinare il meglio di "modello renano" e "modello anglosassone". Da un lato, infatti, tale presenza può essere garanzia di stabilità contro il rischio di pressioni speculative di breve termine che nulla hanno a che vedere con lo stato di salute dell'impresa; dall'altro lato non si esclude la contendibilità dell'impresa medesima nel senso che il management, non potendo contare più di tanto sul diaframma di incroci azionari, partecipazioni a cascata, ecc., deve pur sempre confrontarsi con la capacità di iniziativa dei rappresentanti dei lavoratori azionisti negli organi societari;

E) In definitiva l'azionariato dei dipendenti potrebbe concorrere, costituendone un fattore di innesco non secondario, alla riforma e al consolidamento del capitalismo italiano in una prospettiva europea. Al riguardo appare necessario un massiccio investimento culturale da parte del sindacato e delle imprese. Lavoratori disinformati, disincentivati, non supportati tecnicamente e culturalmente rischiamo l'ininfluenza rispetto alle sorti dell'impresa e del lavoro stesso. E' però vero il contrario. Occorre pertanto costruire una strategia forte per la partecipazione e per l'azionariato dei lavoratori. L'azionariato dei lavoratori, e questo è il senso delle nostre riflessioni, può diventare un elemento connettivo dell'impresa. Ciò attraverso l'attivazione di una circolarità virtuosa tra proprietà (non totalmente anonima o indistinta ma anche facente capo a soggettività - quali i lavoratori - interessate allo sviluppo dell'impresa nel tempo come modo per salvaguardare occupazione e reddito sia in conto salario sia in conto capitale), governo (responsabile nei confronti delle diverse istanze interne ed esterne di cui i lavoratori e il sindacato sono interpreti di fondamentale importanza), controllo (che il lavoro attraverso i propri rappresentanti nell'assemblea e soprattutto nel consiglio di sorveglianza può esercitare in maniera vigile, informata e propositiva), gestione (cui lavoratori motivati e fidelizzati apportano secondo modalità partecipative competenze, professionalità, saperi).

Pur con tutti i limiti e contraddizioni il potenziale partecipativo oggi esistente nelle organizzazioni economiche e sociali è enorme. Un potenziale partecipativo che si lega a istanze profonde di giustizia, di umanizzazione, di democrazia in grado di esprimersi in tutti gli ambiti della vita associata. Tale potenziale partecipativo chiede però di essere, in qualche modo, interpretato, rappresentato, promosso e trasformato, per così dire, in "merce politica" da porre sul piatto della bilancia in vista di trasformazioni più generali, evitando il riflusso nel particolare, nel settoriale, nell'egoistico.

Il sindacato ha ancora chances sufficienti per raccogliere questa grande scommessa. Si tratta di:
- collegare aspetti macro e aspetti micro ovvero le grandi politiche economiche e sociali (concertazione) e le scelte delle imprese e delle istituzioni in rapporto ai vari ambiti funzionali e territoriali;
- mettere in comunicazione privato e pubblico superando separatezze e contraddizioni;
- gestire direttamente spazi vitali della società nell'ambito, ad esempio, del mercato del lavoro, dei servizi all'impiego, della riforma dello stato sociale;
- allargare gli ambiti di rappresentanza, evitando condizionamenti di visioni troppo dogmatiche, sapendo invece cogliere, con intelligenza e duttilità, il senso delle trasformazioni in atto nel mondo del lavoro;
- mantenere saldi i grandi valori fondativi, tanto più necessari in assetti pluralisti, ove sussidiarietà e solidarietà devono potenziarsi reciprocamente onde evitare i rischi tanto di chiusure corporative quanto di logiche meramente assistenziali.

In definitiva il sindacato può farsi soggetto di modernizzazione e di trasformazione accettando le sfide dell'innovazione, della flessibilità, dell'allargamento degli orizzonti di riferimento, della complessificazione del sociale. Per confrontarsi con tali sfide il sindacato non può stare al di fuori e neppure limitarsi a contrattare con le diverse controparti. Occorre viceversa un'assunzione diretta di responsabilità nell'indirizzo, nel controllo e anche - talvolta - nella gestione delle scelte economiche e sociali. E' giocoforza passare da una "cultura delle conseguenze" a una "cultura di progetto", mettendo in comunicazione interessi differenziati, esplicitando e costruendo comuni valori condivisi, dandosi un programma e una speranza di vita buona, o per lo meno decente, per tutti.

* * *

Questo nuovo numero di Impresa Progetto affronta, come di consueto, un ventaglio ampio di argomenti di cui vengono approfonditi sia aspetti teorici sia aspetti applicativi aprendo nel contempo interessanti prospettive di sviluppo futuro. L'emersione della Cina sullo scenario economico mondiale costituisce l'oggetto del saggio di Giuseppe Bertoli, da sempre studioso attento e puntuale dei processi di internazionalizzazione. Siamo in presenza non solo di una grande base produttiva ma anche di un grande mercato. Le potenzialità enormi che si aprono per le imprese italiane non devono portare ad una sottovalutazione delle difficoltà di penetrazione. Il mercato cinese è tutt'altro che omogeneo e unitario, presenta barriere notevolissime a livello culturale e normativo, si caratterizza per un gioco competitivo non sempre "fair" cui prendono parte non solo le grandi multinazionali ma anche le nuove e agguerrite imprese cinesi.

Dal lavoro congiunto di psicologi cognitivi ed esperti di mercati finanziari nasce e si sviluppa la finanza comportamentale, una disciplina relativamente giovane che suscita l'interesse e l'attenzione di una nuova generazione di studiosi. Barbara Alemanni è tra questi. Il suo saggio richiama i presupposti teorici e i molteplici approcci alla finanza comportamentale (descrittiva) di cui coglie le ragioni di profonda complementarietà con la finanza standard (normativa).

Le information&communication technologies stanno radicalmente cambiando il modo di essere e di fare impresa. L'assunto chiede però di essere attentamente verificato sul campo. E' quello che fa Valentino Gandolfi con il suo saggio sull'impatto competitivo delle tecnologie wireless. Dall'analisi approfondita e metodologicamente originale di cinque esperienze aziendali emerge un duplice ordine di benefici. Il primo a livello di efficacia dei processi produttivi, il secondo a livello di value proposition e più in generale di rafforzamento innovativo del vantaggio competitivo.

La ricerca in ambito marittimo-trasportistico rappresenta un punto di forza del nostro Dipartimento. Con il suo saggi Liana Fadda approfondisce i processi di outsourcing logistico nell'ambito della più generale supply chain individuandone le ragioni nella crescente complessità della funzione logistica che richiede competenze e strumenti manageriali sempre più raffinati e sottolineandone l'importanza ai fini della creazione del valore per le imprese coinvolte.

La tematica generale sviluppata da Liana Fadda trova, a livello di working papers, due approfondimenti specifici di Pier Maria Ferrando e di Sonia Ruggiero che danno conto delle prime risultanze di un progetto di ricerca sull'integrazione dei servizi logistici. Pier Maria Ferrando prospetta un quadro di riferimento teorico nel quale collocare il sistema di interdipendenze che, nell'ambito della supply chain intesa come rete virtuale del valore, legano tra loro i Logistic Service Provider e le imprese committenti. Sonia Ruggiero presenta gli esiti di una verifica empirica che sembra convalidare pienamente le capacità interpretative dell'approccio teorico.

Anche l'economia e l'organizzazione dell'industria turistica rientrano nelle preoccupazioni di ricerca del Ditea che ha attivato al riguardo interessanti rapporti di collaborazione internazionale. In quest'ambito la ricercatrice francese Claude Origet du Cluzeau presenta uno studio, oltremodo documentato, su sei metropoli francesi e otto europee con l'intento di valutarne il possibile ruolo di "gateway" nell'interesse tanto della città quanto del contesto territoriale di riferimento. Ci si interroga altresì sui fattori di attrattività turistica e sull'impatto delle politiche di promozione a scala regionale.

Il lavoro dei giovani, nel settore dei servizi, tra atipicità (precarietà) di rapporti e transizione verso modalità di stabilizzazione costituisce l'oggetto di una vasta indagine in fase di avvio presso il Dipartimento di Scienze Politiche e Sociali della nostra Università. Il paper predisposto da Agostino Massa, sociologo dell'economia, contiene una discussione delle basi teoriche e delle ipotesi sottostanti alla ricerca.

Annalisa Ferrari chiude la sezione working papers con uno studio sui fondi immobiliari italiani di cui vengono esaminate le peculiarità, sintetizzabili nell'andamento dello sconto sul loro net asset value, alla luce delle prime due OPA verificatesi sul mercato italiano.

Segnalo infine il nuovo ospite, il dott. Roberto Maglione, direttore centrale delle risorse umane del Gruppo Finmeccanica. Nella sua intervista presenta un caso aziendale di cambiamento strategico finalizzato a fronteggiare situazioni di criticità indotte da evoluzioni, spesso repentine e imprevedibili, dell'ambiente esterno. Lo schema concettuale si rivela di grande interesse e originalità.