Una politica per le piccole e per le medie imprese

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Nel nostro Paese si torna a parlare di economia reale, di imprese, di sviluppo, di competitività, di innovazione. Il disegno di legge "Industria 2015" presentato dal ministro Bersani nel settembre scorso ha indubbiamente provocato un’accelerazione in tale direzione e aperto stimolanti terreni di confronto sul significato e sui contenuti di una nuova politica per l'industria. Un'industria capace di muoversi verso filiere produttive destinate ad integrare, in misura crescente, manifattura, servizi avanzati, tecnologie innovative.

In tale prospettiva la crescita dimensionale delle imprese rappresenta un passaggio obbligato. E' opinione largamente condivisa e verificata che da noi il peso delle piccole e piccolissime imprese è eccessivo comparativamente ad altre realtà. Il loro merito storico è fuori discussione ma oggi il "nanismo" finisce per essere una anomalia, per trasformarsi da punto di forza in fattore di fragilità. Numerose ricerche mettono in chiara evidenza che dimensione aziendale, innovazione, sviluppo sono strettamente correlati, si muovono insieme. Il Governatore della Banca d'Italia ha osservato al riguardo: «Resta cruciale la dimensione delle imprese. Occorre una scala dimensionale adeguata per affrontare gli alti costi fissi dell’innovazione continua e della presenza attiva su mercati lontani; ancor più che negli impianti di produzione, la scala conta negli apparati che innovano il prodotto, che alimentano la visibilità e la reputazione del marchio, che organizzano la produzione».

Occorre pertanto concentrare l'attenzione sulle medie imprese, quelle medie imprese cui molti osservatori affidano il futuro dell'economia e della società italiana, in termini di competitività, innovatività, capacità di crescere sui mercati mondiali. Come noto, è stata coniata l'espressione "quarto capitalismo", ricomprendendovi circa 4.000 aziende che hanno da 50 a 499 dipendenti e da 13 a 290 milioni di euro di fatturato. Siamo in presenza di una realtà corposa, dinamica, che esporta tra il 30 e il 40% della sua produzione. Una realtà che si sta specializzando in produzioni "su misura" ovvero su prodotti che sanno adattarsi al cliente con una cura quasi artigianale. Basti pensare alle macchine utensili concepite come sistemi unici, alla moda, all'arredamento dove dominano i marchi, alla componentistica sofisticata coprogettata con il cliente finale. Trattasi di produzioni che incorporano dosi crescenti di servizio, di conoscenza, di marketing, di ricerca.

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Una politica, evolutiva e aperta, per le piccole e per le medie imprese non può prescindere dalle diverse realtà territoriali nelle quali esse sono radicate. Realtà territoriali assunte nelle loro molteplici dimensioni economiche, sociali, culturali, relazionali. Con altre parole la politica per l'industria ha certamente bisogno di un quadro di riferimento macro (a livello di vision, di mission e di grandi progettualità e regolazioni) ma per la sua efficacia richiede di essere declinata a scala locale con l'entrata in campo di nuove soggettività pubbliche e private, nuove risorse in vista di nuove opportunità.

L'editoriale intende proporre alcune riflessioni metodologiche con riferimento a questo secondo aspetto ovvero con riferimento all'ambito regionale (locale) della politica per le piccole e per le medie imprese. Tale politica, a nostro avviso, dovrebbe strutturarsi lungo due direttrici. La prima finalizzata all’apprestamento di condizioni per la vivibilità e l'efficienza del tessuto produttivo nel suo insieme, attraverso misure trasversali, dotate anche di qualche automatismo. La seconda, più selettiva, destinata a promuovere, in maniera mirata, innovazione e sviluppo.

Con riferimento alla prima direttrice ci limitiamo a mettere in evidenza un'esigenza generale avvertita da tutta l'industria nazionale ma, in special modo, dalle imprese di minore dimensione. Intendiamo far riferimento ai cosiddetti "costi di sistema" o ambientali. Sono costi non controllabili dall'impresa, ma che l'impresa sostiene comunque in termini monetari, di perdita di tempo, di spreco di energie imprenditoriali e manageriali, ecc. Sono ascrivibili ai costi di sistema quelli connessi all'energia, telefonia, acqua, trasporto e logistica, uso del territorio, comunicazioni, assicurazioni, credito, servizi professionali, distribuzione commerciale, fiscalità, rapporto con la pubblica amministrazione, ecc. Elaborazioni recenti da parte dell'Autorità Antitrust evidenziano per tali costi un'incidenza marcatamente superiore a quella riscontrata nei principali Paesi UE con l'ovvia conseguenza negativa in termini di competitività delle nostre produzioni. Tali costi vanno attentamente monitorati anche per capire quali misure possono essere adottate a scala locale per tenerli sotto controllo ed eventualmente ridurli, liberando per questa via risorse più utilmente investibili sulla direttrice dell'innovazione e dello sviluppo.

La seconda direttrice fa riferimento alla domanda di innovazione e di sviluppo esistente in una specifica realtà territoriale. Questa domanda va accertata, se necessario portata alla superficie, specificata (in molti casi occorre aiutare l'imprenditore a formularla), organizzata attraverso la predisposizione di pacchetti significativi. Va poi verificata l'esistenza di una offerta di condizioni strutturali, istituzionali e strumentali atte a soddisfare tale domanda, occorre quindi attivarsi affinché domanda e offerta possano incontrarsi efficacemente, tempestivamente, economicamente.

Domanda di innovazione e sviluppo da un lato e offerta della possibilità di soddisfarla dall'altro, richiedono di essere organizzate e processate non in maniera indifferenziata bensì traguardata sulle specifiche fasi di vita delle imprese. Pertanto occorre parlare di domanda e di offerta (di condizioni e di strumenti) con riferimento:

  • alla nascita di nuove imprese (necessariamente piccole) e prima ancora di valide idee imprenditoriali tra le quali scegliere. Oggi il tutto è sovente casuale, episodico, con un elevato turnover di iniziative destinate a scomparire in breve volgere di tempo. Nell'ambito di un ineliminabile spontaneismo di base occorre inserire una politica mirata di start up e di spin off di qualità;
  • alla emersione di piccole imprese che hanno potenzialità da verificare e sostenere aiutando l'imprenditore a intraprendere i primi passi sulla strada dello sviluppo e dell'allargamento dell'orizzonte di mercato;
  • alla attivazione di meccanismi di collaborazione da parte di imprese, anche di diversa dimensione, che in un determinato momento della loro vita sono disponibili a mettersi insieme, a dare vita a iniziative consortili per affrontare con maggiore efficacia problematiche che non sono alla scala del singolo operatore. Il citato documento "Industria 2015" assegna una posizione di grande rilievo alla figura innovativa delle "reti di imprese", reti che si caratterizzano per forme stabili di coordinamento contrattuale, reti che potrebbero avere proiezioni internazionali da un lato e ricomprendere imprese sociali e organizzazioni non profit dall'altro Tutto ciò, ovviamente, non si improvvisa ma deve essere progettato agendo appunto sul versante della domanda e dell’offerta;
  • alle imprese, già di una certa consistenza, che vogliono o potrebbero ulteriormente crescere aumentando il capitale investito e anche l'occupazione, introducendo nuove tecnologie e forme organizzative, entrando in nuovi mercati, internazionalizzandosi, ecc. fino ad operare un vero e proprio salto dimensionale e di qualità. In questa fattispecie, l'offerta di condizioni deve essere suscettibile di una duplice declinazione a seconda che l'imprenditore voglia veder salvaguardata, in qualche modo, la propria autonomia e capacità di controllo oppure intenda passare la mano anche attraverso un uscita graduale.

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La crescita quantitativa e qualitativa del tessuto di piccole e di medie imprese è perseguibile nella misura in cui si è in grado di innescare – mediante politiche mirate e innovative – adeguate masse critiche per quelle risorse che risultano essere strategiche e critiche al tempo stesso.

A) Masse critiche a livello di politiche e risorse per la ricerca scientifica, l'innovazione tecnologica, organizzativa e di mercato attraverso la predisposizione di servizi reali da parte di soggetti pubblici e privati, capaci di interagire con le piccole e le medie imprese. Ci siamo già riferiti al "quarto capitalismo". Si incomincia a parlare di "quinto capitalismo", una miscela di tecnologie, ricerca pubblica e privata, formazione superiore, imprese innovative. Il tutto concentrato in specifiche aree territoriali come possono essere il "Kilometro rosso" di Bergamo, "Torino Nuova Economia" a Mirafiori oppure, in prospettiva, il "Progetto Leonardo" di Genova.

B) Masse critiche a livello di politiche e di risorse finanziarie. Il rapporto tra minori imprese e sistema dell'intermediazione finanziaria è sempre stato problematico e ha rappresentato un vincolo pesante per la crescita delle imprese stesse. La situazione è oggi in movimento; si aprono nuove prospettive e opportunità. Le piccole e le medie imprese devono essere poste in grado di conoscerle e soprattutto di coglierle. Ciò richiede un'azione concertata tra istituzioni pubbliche, associazioni di categoria, operatori privati, forme cooperative e consortili di piccole imprese.
Il rapporto con le banche costituisce per le piccole e medie imprese uno snodo cruciale, reso ancora più stringente dalla prossima applicazione di Basilea 2 da interpretare e gestire in un'ottica di maggiore razionalizzazione e collaborazione. Il rapporto sembra oggi evolvere nella giusta direzione. I grandi gruppi bancari incominciano a vedere nella relazione con le piccole e medie imprese una leva competitiva di fondamentale importanza. Questa evoluzione va accelerata colmando le lacune ancora esistenti a livello di credito industriale e in particolare di qualificati servizi finanziari e consulenziali a sostegno dell'esportazione e più in generale dei processi di internazionalizzazione.
Il finanziamento della crescita delle piccole e medie imprese passa altresì attraverso lo sviluppo del capitale di rischio perseguito anche mediante lo strumento del private equity e del venture capital. Ciò vale, in special modo, per aziende con interessanti progetti industriali e con buoni potenziali di sviluppo. Vale del pari per aziende allo stato nascente dotate di promettenti idee imprenditoriali
In molte regioni stanno prendendo piede interessanti iniziative al riguardo. Occorre evitare il più possibile casualità ed estemporaneità e preoccuparsi invece di una regia pubblico-privata (magari con un ruolo attivo dei confidi e usando le risorse dei fondi agevolativi e di sostegno, nazionali e regionali, come leva), regia capace di offrire alle piccole e medie imprese che vogliono crescere un ventaglio di opportunità valide e coerenti con le finalità dell'imprenditore (salvaguardando la sua autonomia o aiutandolo a passare la mano).
Da ultimo non dovrebbero neppure essere trascurate le possibilità – in tema di strumenti di finanziamento – che il nuovo diritto societario offre alle piccole e medie imprese. Queste ultime potrebbero anche essere accompagnate ad entrare nel costituendo Mercato Alternativo di Capitali, un sistema di scambi organizzati del capitale delle minori imprese, riservato a investitori qualificati che verrebbero così ad assolvere a un ruolo di promozione e consolidamento.

C) Masse critiche a livello di politiche e di risorse territoriali e infrastrutturali. Come già accennato i costi d'uso del territorio risultano in genere particolarmente elevati per le minori imprese. La limitata disponibilità di aree idonee, in conseguenza di errati e disordinati utilizzi degli spazi, e il loro prezzo esorbitante rappresentano un vincolo pesante per le imprese che vorrebbero espandersi e l’esperienza insegna che, in molti casi, il cambio di localizzazione è occasione per un salto non soltanto dimensionale ma anche organizzativo e di mercato. La questione va affrontata in maniera integrata, sia raccordando strumentazioni urbanistiche in oggi eterogenee, concepite in un'ottica del tutto municipalistica, sia realizzando aree attrezzate capaci di valorizzare le possibilità offerte dalle ICT, facendo convergere sull'obiettivo di più efficaci localizzazioni produttive risorse finanziarie, servizi reali, velocizzazione delle procedure amministrative.

D) Masse critiche a livello di fattori soggettivi dello sviluppo. Si fa riferimento all'investimento in capitale umano, in creatività e soprattutto in imprenditorialità. Il problema dell'invecchiamento si manifesta con forza anche in questo ambito ove il ricambio generazionale nelle imprese famigliari (che sono la quali totalità delle piccole e medie imprese) costituisce uno snodo cruciale. A questo proposito il Governatore della Banca d'Italia, nell'ultima Relazione, ha svolto alcune osservazioni puntuali. «La proprietà familiare è un asse portante del nostro capitalismo … Proprio per questo sono essenziali gli strumenti che ne regolano il ricambio, se necessario. Quando la proprietà familiare perde il gusto del rischio creativo, quando la ricchezza investita nell'azienda comincia a essere vista solo come fonte di rendita l'immobilismo proprietario può diventare un freno alla crescita dell’impresa, la avvia al declino».
Occorre altresì porsi l'obiettivo, in maniera strutturata e organizzata, di far sorgere nuova imprenditorialità, in special modo imprenditorialità giovanile capace di esprimersi su fasce non banali di tecnologia e di mercato. La formazione di nuovi imprenditori (importante tanto quanto, se non di più, la formazione di nuovi manager) presuppone il ruolo attivo delle università, delle istituzioni, delle grandi imprese ma anche del volontariato dei "business angels".

E) In stretta connessione con il punto precedente facciamo infine riferimento alle masse critiche attivabili a livello di politiche e di risorse per l'internazionalizzazione. Ciò presuppone l'aumento della competitività del sistema economico complessivo, nonché l'aumento del suo grado di apertura in termini sia di flussi commerciali sia di investimenti diretti all'estero e dall’estero sia di accordi di collaborazione. Un'immagine forte dei territori regionali e locali può aprire e sostenere il percorso di sviluppo internazionale delle imprese, molte delle quali rinchiuse in un'ottica troppo domestica.

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Lo sviluppo delle piccole e medie imprese trova nell'Ente Regione, nella sua capacità di governo e di intervento l'interlocutore fondamentale, capace di fare sistema e di promuovere l'attivazione delle masse critiche sulle quali ci siamo dianzi soffermati. Nell'ambito di una nuova politica per l'industria le Regioni sono chiamate ad approntare non tanto e non solo misure standardizzate bensì mirate, personalizzate, ad elevato contenuto di partecipazione dei soggetti imprenditoriali destinatari e di concertazione con gli altri partner dello sviluppo a scala locale (istituzioni e organizzazioni pubbliche, private, cooperative, sindacali).

Più precisamente le Regioni possono mettere in campo un mix equilibrato di misure legislative, regolamentari, finanziarie, gestionali. Possono produrre servizi reali anche attraverso appositi enti strumentali. Possono stimolare il protagonismo associativo e consortile delle imprese. Protagonismo non atomizzato ma interconnesso a rete per aggregazioni significative settoriali, territoriali, funzionali (distretti e filiere). Potremmo parlare di progetti integrati di sviluppo di cui le Regioni diventano promotrici e animatrici, facendo emergere obiettivi condivisi dai diversi soggetti; facendo interagire strategie, risorse, conoscenze; immettendo nell'insieme dei progetti input di propulsione, regolazione e verifica; raccordando le specificità dei progetti locali al quadro più generale di condizioni offerte a livello di politiche nazionali e comunitarie.

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I saggi di questo nuovo numero della rivista (il sesto della serie) affrontano e sviluppano tematiche proprie della nostra linea editoriale: la responsabilità sociale dell'impresa, l'economia della conoscenza in rapporto allo sviluppo territoriale, l'industria nei processi di integrazione europea, le radici dell'aziendalismo italiano.

Gianfranco Rusconi, dopo aver chiarito le relazioni tra etica, responsabilità sociale, strategia e gestione di impresa, propone un'operazione culturale di grande interesse: incorporare la teoria manageriale degli stakeholder "à la Freeman" nell’alveo dell'economia aziendale, intesa come teoria dei sistemi aziendali. Il successo dell'operazione dimostra, da un lato, la bravura dell’Autore che, non da oggi, si occupa dell'argomento, e, dall'altro, la ricchezza e la fecondità di una tradizione di studi che viene da lontano. Avremo modo di ritornare sull’argomento.

Come noto, la Scuola Superiore S.Anna di Pisa rappresenta - sui temi della ricerca, dell’innovazione e dello sviluppo territoriale – un'area di indiscussa eccellenza. In quest’ambito, gli studi di Andrea Piccaluga costituiscono un sicuro punto di riferimento. Ne è prova il saggio che qui presenta insieme a Balderi, Butelli,Conti e De Minin. Il saggio dà conto di una serie di ricerche volte ad approfondire le strategie e le azioni adottate dagli uffici di trasferimento tecnologico, istituiti presso numerose università del nostro Paese. L'intento è quello di verificare se attraverso tali uffici è possibile contribuire alla creazione di una "via italiana" alla valorizzazione dei risultati della ricerca pubblica.

Il saggio di Silvia Bruzzi si inserisce nel filone di riflessioni sull'Europa dei progetti, filone aperto da Dario Velo nello scorso numero della rivista. L'attenzione dell’Autrice si traguarda sul contributo che il settore sanitario può dare al rilancio del processo di unificazione europea. Ciò a motivo del duplice ruolo che tale settore è in grado di assolvere: da un lato come pilastro di un modello sociale europeo di welfare, dall’altro come fattore trainante di competitività e di crescita. Da qui l'importanza di politiche comunitarie di orientamento e coordinamento a livello di ricerca e di creazione di poli sanitari di eccellenza di valenza comunitaria.

Da ultimo, il saggio di Giacomo Del Chiappa si propone di esaminare come il tema della produzione sia stato affrontato e si sia evoluto nell'opera di due grandi maestri della tecnica industriale, Pasquale Saraceno e Gastone Ceccanti. L'Autore contestualizza, con intelligenza critica, il contributo dei due studiosi e ne evidenzia analogie e differenze. La dimensione storica delle nostre discipline è un aspetto da non trascurare ed è significativo che tale dimensione susciti l'interesse dei giovani ricercatori in una continuità ideale di pensiero con chi ci ha preceduto.

La sezione degli working paper è focalizzata sul tema delle information technologies. Nel settembre scorso si è tenuta presso l'Università di Genova ECITE 2006 ovvero la tredicesima "European Conference on Information Technology Evaluation" . L' incontro, che ha registrato un notevole successo, ha visto la partecipazione attiva di ricercatori del nostro Dipartimento che da tempo approfondiscono tali questioni. Riteniamo utile pubblicare i loro interventi opportunamente rivisti ed integrati. Il ventaglio degli argomenti, trattati nell'ottica teorica, applicativa e di verifica empirica, è ampio e di grande interesse. Le ICT vengono infatti viste nell'ambito dei grandi gruppi industriali (Renata Paola Dameri e Roberto Garelli), nell'impatto che esse hanno sulle strategie di internazionalizzazione (Riccardo Spinelli), nelle applicazioni all'interno delle amministrazioni pubbliche locali (Federico Fontana), con riferimento all'offerta internazionale di sistemi di content management (Clara Benevolo e Serena Negri).

Sulle problematiche di ECITE 2006 si sofferma infine l'ospite di questo numero della rivista, l'Ing. Stefano Privitera, responsabile dei processi di IT in Finmeccanica. L'intervista ha per oggetto l'esperienza innovativa che Privitera sta portando avanti in tema di governance delle information technologies. Trattasi di un modello articolato su tre livelli, quello strategico della vision e della mission del gruppo, quello intermedio delle applicazioni e delle best practices, quello escutivo dell'integrazione, standardizzazione ed automazione dei processi con l'attenzione costante al monitoraggio dei risultati.