Perché questa rivista

Editoriali
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Il DITEA – Dipartimento di tecnica ed economia delle aziende dell’Università di Genova – ha deciso di dare vita alla rivista on line “ Impresa Progetto “. Essa vuole essere uno strumento agile e flessibile di comunicazione e di socializzazione a partire innanzi tutto dalle riflessioni condotte al nostro interno nell’ambito delle molteplici linee di ricerca perseguite. Particolare attenzione verrà dedicata ai giovani studiosi che operano nel Dipartimento come dottorandi, assegnisti, idonei in attesa di prendere servizio, collaboratori a vario titolo. La loro vita universitaria è già di per sé abbastanza complicata stante la carenza di prospettive affidabili circa il futuro. Creiamo almeno le condizioni perché possano farsi conoscere senza doversi mettere in coda per veder pubblicati i loro primi elaborati scientifici ed essere pertanto pronti qualora la situazione dovesse sbloccarsi, così come tutti auspichiamo per il bene del Paese. Ovviamente la rivista è aperta alla collaborazione di colleghi e studiosi di altre sedi universitarie e, più in generale, di coloro che, per esperienza professionale o interessi scientifici e culturali, hanno qualcosa di interessante da proporre.

La rivista ha cadenza semestrale per quanto riguarda il corpo centrale, costituito da saggi, sottoposti a referaggio, e da working paper. Le altri parti, compreso l’incontro con un testimone significativo – Joseph E. Stiglitz in questo numero inaugurale – potranno essere alimentate e aggiornate con maggiore frequenza. Le riviste on line non sono infatti condizionate dai vincoli propri di quelle cartacee (tempistica, dimensionamenti, ecc.). Presentano grande flessibilità e, soprattutto, hanno possibilità espressive, espansive e di collegamento in rete, praticamente senza limiti predefiniti. Impareremo a sfruttarle sempre meglio cammin facendo.

Diciamo qualcosa sul nome che abbiamo scelto per la rivista. Con esso vogliamo sottolineare che l’impresa è un progetto non soltanto economico–produttivo, ma anche culturale, sociale, etico, politico che si confronta e talvolta si scontra con i progetti di altre soggettività. Del pari l’approccio dello studioso nei riguardi della realtà delle imprese del nostro tempo non può non esprimersi nei termini di una progettualità interpretativa e normativa, a partire da premesse valoriali e fattuali, ritenute rilevanti da parte dello studioso stesso.

Ci auguriamo che la rivista possa suscitare l’attenzione della comunità degli aziendalisti e di quanti sono interessati alle problematiche d’impresa, assunte nelle loro molteplici dimensioni. Per quanto riguarda la comunità degli aziendalisti, questa - nelle sue varie espressioni, articolazioni, raggruppamenti disciplinari – sta vivendo una fase di stimolante attivismo. Lo testimoniano le numerose iniziative dell’Aidea, i convegni scientifici e gli workshop promossi da associazioni settoriali e da sedi universitarie. Stanno per uscire o sono allo studio nuove riviste in cartaceo e on line come la nostra. Ben vengano, il gioco conoscitivo non è mai a somma zero. A tempo e luogo si troveranno le forme più appropriate di collegamento, coordinamento, integrazione. Da questo punto di vista mi sembra estremamente utile l'iniziativa del CUEIM (Consorzio Universitario di Economia Industriale e Manageriale) di dare vita a un sito che - a fianco della rivista Sinergie - si propone di raccogliere e rendere disponibili segnalazioni e ricerche, articoli, pubblicazioni ritenute significative, eventi scientifici.

Le molteplici iniziative sopra richiamate richiedono di essere contestualizzate. Ci sono almeno due interrogativi con i quali confrontarsi e aprire un dibattito del quale – senza pretesa di esclusività – vogliamo farci promotori.

Il primo interrogativo è del tutto generale. Dove stanno andando le nostre discipline? Nella loro evoluzione - evoluzione in termini di contenuti, metodologie, tecniche, rapporti con altri saperi – prevalgono fattori di convergenza o fattori di divergenza rispetto a comuni matrici fondative? Come leggere e interpretare i rimescolamenti di carte in atto? I raggruppamenti disciplinari, frutto di storia passata e recente le cui determinanti sono ascrivibili certamente a logiche scientifiche ma anche all’emergere e al consolidarsi di interessi di area se non proprio corporativi, quanto sono ancora utili e quanto invece condizionano negativamente il dispiegarsi di sinergie e salutari contaminazioni? La complessità dei problemi non può essere “tagliata a fette” ovvero segmentata per raggruppamenti (ad esempio, tra economia aziendale ed economia e gestione delle imprese). Richiede di essere affrontata in quanto tale. Nel contempo emergono nuovi ambiti di studio e di ricerca che si caratterizzano tanto per la loro specificità quanto per la loro trasversalità. Si pensi alle problematiche connesse alla conoscenza, alla generazione del valore e alla sua misurazione, alla responsabilità sociale, ai sistemi di governance, al rapporto tra profit e non profit. Si pensi al rilievo crescente che assumono i settori dei servizi - pubblici, privati, privato-sociali - in un contesto di aziendalizzazione del territorio. Rispetto al nuovo tutti siamo chiamati in qualche modo a rilegittimarci a prescindere anche dalle nostre appartenenze storiche.

Il secondo interrogativo è più specifico e riguarda il nostro ruolo di docenti. Le discipline aziendalistiche come si collocano nei nuovi corsi di studio delle Facoltà di Economia (e non solo)? Qual è il nostro peso politico e culturale? Più precisamente cosa dobbiamo insegnare nelle lauree triennali, nelle lauree specialistiche, nei master di primo e di secondo livello, nei corsi di dottorato? Come combinare nell’ambito di una efficace filiera dell’apprendimento saperi e competenze aziendali, fondamenti e specificazioni funzionali e di settore, teorie e tecniche, collegamenti con altre discipline economiche, giuridiche, quantitative, tenendo conto di come i giovani entrano in università e di come ne dovrebbero uscire dopo tre o cinque anni nel rispetto della logica dei crediti?

Con riferimento ad entrambi gli interrogativi credo che come aziendalisti dovremmo ragionare di più su ciò che ci tiene uniti ovvero sui fattori costitutivi del nostro essere oggi una comunità di studiosi. La verifica va fatta su alcuni discriminanti ineludibili di identità, di possibilità di riproduzione (attraverso la promozione dei giovani su standard di serietà e rigore resi espliciti e ai quali attenersi nelle procedure concorsuali), di status, di risorse acquisibili (anche comunicative, di qui l’importanza delle riviste on line).

Il rafforzamento della comunità degli aziendalisti comporta la necessità che si sappia sia investire “a monte” attraverso un rapporto non spregiudicato con gli altri saperi richiesti dalla multidimensionalità dei nostri oggetti di studio, sia investire “a valle” attivando e strutturando una rete di verifiche empiriche rispetto alle ipotesi di partenza, sia investire in “relazionalità” nel senso di una più efficace organizzazione del lavoro scientifico, privilegiando la trasversalità e l’apertura verso l’esterno, ampliando gli orizzonti conoscitivi e operativi. In questa prospettiva, la singola disciplina va considerata come una particolare e contingente via di accesso al reale, combinabile con altre, in funzione dell’intento conoscitivo che si vuole perseguire. Le presunzioni di autosufficienza sono destinate a pagare sempre meno. Abbiamo bisogno di studiosi, penso ai nostri giovani, il cui obiettivo sia la comprensione non autarchica dei problemi delle imprese nella loro concretezza e completezza, nella loro proiezione storico – evolutiva, nel loro quadro istituzionale, sociale,culturale.

Non è compito dell’editoriale di apertura approfondire tali problemi. Riteniamo sufficiente averli posti. Potranno essere sviluppati in seguito. Al momento non mi resta che presentare telegraficamente i principali contenuti di questo primo numero di “Impresa Progetto”, un numero necessariamente sperimentale, ma che può essere arricchito in itinere com’è nella logica di una rivista on line. Ho già accennato all’ospite, il premio Nobel Stiglitz, che abbiamo intervistato sulle opportunità e sui rischi dei processi di globalizzazione.
Seguono poi tre saggi che si misurano con le problematiche del valore, assunte secondo diverse prospettive .

Pier Maria Ferrando colloca tali problematiche nell’evoluzione delle discipline aziendali che, nel corso del tempo, hanno registrato il progressivo “slittamento” dal reddito al valore come fondamentale variabile esplicativa. Ciò tanto sul versante del management quanto su quello dell’accounting, sollecitando altresì un aggiornamento dello stesso concetto di azienda.

Clara Caselli, a sua volta, si interroga sull’influsso che la questione del valore – inteso nel senso di “ciò che vale” – ha sui comportamenti economici concreti sia macro che micro. Le riflessioni al riguardo sono svolte a partire dalle imprese non profit con l’intento però di cogliere aspetti generalizzabili in un’ottica di rete o di filiera di produzione e distribuzione del valore.

Nicoletta Buratti, infine, si sofferma su una tematica emergente negli studi di marketing. Trattasi della richiesta, da parte dei consumatori, di partecipare attivamente alla creazione del valore, creazione tradizionalmente controllata e gestita dall’impresa. La diffusione di internet e delle tecnologie di comunicazione interattiva, la dematerializzazione dei processi e dei prodotti accentuano tale tendenza che comunque va assunta criticamente, valutandone il grado effettivo di generalizzabilità.

La rivista comprende ancora un saggio e tre working paper.
Il saggio di Francesca Querci si misura con l’accordo “Basilea due” laddove si definisce il requisito di capitale che le banche devono detenere per tutelarsi dai rischi a cui sono esposte. In particolare si approfondisce la struttura di tale requisito e ne vengono simulati gli effetti sulla base del sistema di rating interno adottato da una banca italiana di medie dimensioni.

Renata Dameri nel suo paper analizza i bilanci delle società del MIB 30 con l’intento di verificare l’applicazione dei principi contabili nazionali relativamente alle immobilizzazioni immateriali. I risultati che provengono da tale indagine sono abbastanza deludenti; emerge inoltre una scarsa attenzione per le esigenze informative del pubblico nonché poca chiarezza per quanto riguarda i dati e i criteri di valutazione adottati.

A risultati non dissimili arriva Giovanni Lombardo esaminando i prospetti informativi pubblicati nel periodo 1995 –2003 da parte delle imprese che hanno richiesto la quotazione in borsa. I prospetti sono carenti stante il fatto che non forniscono informazioni specifiche in merito alla determinazione del valore delle imprese. Al riguardo l'adozione del metodo EVA potrebbe rivelarsi più adeguato ed efficace.

Riccardo Spinelli si interroga sull’impatto delle ICT sulle strategie e sulla struttura delle imprese. Ma quali imprese? Gli entusiasmi sulla portata rivoluzionaria della new economy si sono alquanto raffreddati. Conviene allora non perdere di vista la old economy approfondendo, come viene fatto nel paper, i processi di integrazione delle nuove tecnologie nelle imprese tradizionali per coglierne le implicazioni in termini di rafforzamento del vantaggio competitivo.

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Vorrei concludere questo primo editoriale con un ricordo e con un saluto, tra loro intimamente collegati.
Il ricordo risale al 1973 allorquando l’Istituto di tecnica economica e commerciale dell’Università di Genova diede vita, con pochi mezzi ma molta lungimiranza, al “Bollettino di economia e politica industriale” evoluto poi nella prestigiosa rivista “Economia e Politica Industriale” con sede presso la Bocconi.
Il saluto va ovviamente a Sergio Vaccà, maestro, direttore dell’Istituto, promotore dell’iniziativa editoriale. Sono stato il suo primo allievo in tempi ormai lontani, ma non per questo meno significativi. Molti dei componenti del comitato scientifico di “Impresa Progetto” si sono formati alla sua scuola, alcuni hanno continuato a collaborare e collaborano con lui, alimentando un rapporto che è proficuo per tutti.
Interpretando i sentimenti dei colleghi del DITEA, giovani e meno giovani, dedico a Sergio Vaccà il primo numero di questa nuova rivista.