Commercio giusto ed etica delle relazioni internazionali Nord-Sud: il caso dell'artigianato peruviano

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Per molto tempo l’eticità delle relazioni internazionali si è misurata attraverso l’analisi della ripartizione del valore lungo la filiera che va dal produttore al consumatore. L’ipotesi sottostante al presente working paper parte dall’idea che l’etica si misura attraverso la capacità di costruire relazioni che generino maggior valore e quindi siano capaci di favorire uno sviluppo autonomo basato sulla valorizzazione del capitale umano e sul rispetto delle differenti culture locali.
Il caso dell’artigianato peruviano, è stato analizzato in profondità nell’ambito di una ricerca finanziata dal MIUR, i cui risultati sono comunque in larga misura generalizzabili.
Nella prima parte si descrivono le filiere tradizionali di internazionalizzazione dei prodotti dell’artigianato, nei suoi vari segmenti. La produzione di valore è scarsa, nonostante gli indubbi punti di forza (cultura locale, lavoro e materie prime di alta qualità, forme associative), in quanto prevalgono i fattori di debolezza relativi alla produttività del lavoro, alla tecnologia, alla qualità, che riflettono i limiti strategici e gestionali delle aziende artigiane e delle loro associazioni.
In questo contesto è nato e si è sviluppato un attivo movimento legato alle esperienze di commercio equo e solidale (CES). Nonostante la sua diffusione non sia altissima, si è dimostrato un interessante strumento di diversificazione merceologica e geografica. Ne sono nate filiere di commercializzazione alternative, molto più articolate e tendenti a creare maggior valore nel paese di origine. Inoltre, altre interessanti iniziative hanno cominciato a svilupparsi nel Paese: per esempio le forme legate alle esperienze di responsabilità sociale delle imprese ed alcuni esempi di clusters.