Scommettere sui Parchi Scientifici

I Parchi Scientifici rappresentano un importante strumento di stimolo e supporto allo sviluppo economico ed alla competitività dei sistemi territoriali. Numerose sono, in diversi Paesi, le esperienze positive, ma non per questo la creazione di un Parco Scientifico può essere considerata un toccasana, una soluzione universalmente valida ed di sicuro successo. Mancando certe condizioni, i risultati – come dimostra l’esperienza italiana – finiscono per essere molto limitati.
Su questo tema, abbiamo intervistato il Prof. Carlo Castellano, già docente presso la Facoltà di Economia dell’Università di Genova ed attualmente Presidente di Esaote S.p.A. e del Consiglio Direttivo di Dixet, il Distretto Elettronica e Tecnologie Avanzate di Genova.
Quali sono, a Suo modo di vedere, gli elementi fondanti del modello di successo dei Parchi Scientifici? Quali, in altri termini, le condizioni necessarie affinché un Parco Scientifico possa dispiegare appieno le sue potenzialità di sostegno allo sviluppo?
I parchi tecnologici costituiscono oggi un vero e proprio nuovo “settore industriale”. Non tutti i “trapianti” hanno però avuto successo: non pochi parchi sono rimasti di fatto solo sulla carta. Ma è il disegno di fondo del modello “Silicon Valley” a dimostrarsi “vincente”: mettere accanto, in “contiguità fisica”, facoltà universitarie tecnico-scientifiche, istituzioni di ricerca pubbliche e private, imprese ed investitori finanziari (capital venture), al fine di stimolare processi virtuosi di sviluppo tecnologico ed industriale. Infatti, il far “convivere”, in un’area relativamente circoscritta (non solo nei laboratori e negli uffici, ma anche nelle residenze) studenti, professori, ricercatori, ingegneri e tecnici stimola la creazione di una “massa critica” di conoscenze, di contatti, di legami e di relazioni, humus favorevole alla nascita e allo sviluppo di imprese e di attività tecnologiche.
Se questo è il modello possibile, come si colloca secondo Lei il caso italiano?
In un Convegno tenutosi in aprile presso la Facoltà di Economia dell’Università di Genova è emerso che sulla carta si contano oggi in Italia circa 30 parchi scientifici e tecnologici. Tuttavia, se se ne escludono alcuni (tra tutti, l’Area Science Park di Trieste ed il Science Park San Raffaele di Milano) il panorama italiano è ancora modesto. Forse perché, come risulta da un’indagine presentata a Genova dai ricercatori dell’Università di Pavia, le dimensioni dei nostri parchi sono troppo esigue (mediamente 30-50.000 mq.).
Come valuta, in particolare, l’apporto attuale e potenziale dell’Università nei confronti delle iniziative legate ai Parchi Scientifici?
Da noi è mancata la spinta decisiva delle Facoltà scientifico-tecniche, che svolgono un ruolo proattivo nelle più significative esperienze internazionali. Inoltre il Ministero della Ricerca e dell’Università ha avviato una differente strategia, rispetto a quella prevalente a livello internazionale: si è puntato cioè sulla nascita di “distretti tecnologici” promuovendo soprattutto accordi di collaborazione. Così facendo, tuttavia, il distretto diventa di fatto solo un parco “virtuale”, senza ritrovare quelle condizioni di “contiguità fisica” tipiche delle esperienze internazionali di successo.
In che cosa andrebbe ripensato il rapporto impresa-Università?
E’ assolutamente necessaria una più forte e decisiva volontà di collaborazione tra imprese ed Università, perché troppi giovani laureati italiani devono andare all’estero, dove riscuotono grandi riconoscimenti proprio nei settori più avanzati della scienza e della tecnologia. E, d’altra parte, rappresentiamo una scarsissima attrazione per giovani ricercatori internazionali.
Bisogna creare le condizioni non solo di collaborazione ma di “convivenza” tra imprese ed Università, perché solo così si può creare un meccanismo efficace ed assicurare uno sviluppo solido, dal punto di vista sia della tecnologia sia dell’impresa. La contiguità fisica, in un grande Parco Tecnologico, può rappresentare, sia per le imprese sia per gli istituti di ricerca e formazione, una grande opportunità strategica, di valorizzazione del proprio know-how tecnologico, con potenziale sviluppo delle proprie attività.
Veniamo, infine, alla situazione genovese. Come noto, si nutrono grandi speranze per ciò che riguarda due iniziative ad alto contenuto di innovatività e tecnologia: la prima è costituita dall’Istituto Italiano di Tecnologia (IIT), che si propone di ricreare sul territorio del capoluogo ligure un’esperienza simile al blasonato MIT di Boston, richiamando scienziati nazionali ed internazionali intorno ad un polo di ricerca scientifica e tecnologica di eccellenza; la seconda è rappresentata dal Progetto Leonardo, il “technology village” che sorgerà nel ponente genovese ed in cui convergeranno diverse centinaia di imprese “high-tech”, nonché tutte le strutture della Facoltà di Ingegneria dell’Università degli Studi di Genova.
Che prospettive intravede per queste iniziative?
Lo sviluppo di alcuni qualificati campus della tecnologia, della ricerca e della formazione potrebbe diventare la chiave di volta per quel necessario “salto di qualità” di cui abbiamo bisogno, facilitando la nascita e l’avvio di nuove imprese high-tech. E la realizzazione di questi due grandi progetti – l’IIT ed il Parco Scientifico e Tecnologico Leonardo – potrebbe costituire un polo di attrazione sul mercato internazionale delle intelligenze e della creatività tecnologica. A questo proposito va detto che il progetto del Parco Scientifico e Tecnologico Leonardo è – al momento attuale – l’iniziativa italiana più significativa per lo sviluppo di nuovi ‘contenitori’ high tech. Il Progetto Leonardo è innovativo perché è – per la prima volta – il risultato dell’iniziativa di oltre 60 imprenditori e managers privati dell’high tech, che hanno deciso nel marzo 2003 di costituire la società Genova High Tech (GHT) S.p.A. Il Progetto ha fatto un passo avanti decisivo con l’ingresso – nel luglio 2005 – nella compagine azionaria di GHT di Banca Intesa, Euromilano e Aurora Costruzioni, che hanno costituito la società Leonardo Technology S.p.A. che attualmente possiede il 67% del capitale di GHT.
Il ruolo del “pubblico”- soprattutto degli Enti locali – è comunque determinante per supportare il “progetto” con tutti gli strumenti propri del pubblico.
Nel Parco Leonardo, inoltre, si potrebbe contare sulla compresenza della Facoltà di Ingegneria dei laboratori di Genova del CNR e su un ampio numero di imprese tecnologiche, circa 50, che hanno dichiarato il loro interesse a localizzarsi.
Nel contempo l’IIT – che sta muovendo i suoi primi timidi passi – può rappresentare un elemento innovativo nel panorama italiano dei rapporti tra mondo della ricerca tecnologica e sistema delle imprese, nella misura in cui riuscirà a rapportarsi – seppur in una prospettiva di medio/lungo termine – con la reale struttura tecnologica ed industriale del nostro Paese.
In che termini ritiene si possa declinare il contributo che possono dare al rilancio dell’economia locale e nazionale?
In Italia abbiamo bisogno di creare e di sviluppare alcuni “poli” di traino, concentrati in alcune specifiche realtà territoriali. L’avvio del Parco Leonardo costituirà un forte richiamo e incentivo per la localizzazione agli Erzelli di ulteriori aziende tecnologiche, soprattutto internazionali.
In uno scenario competitivo sempre più difficile a livello mondiale, Genova scommette sulla tecnologia e sull’innovazione, al fine di realizzare una massa critica sufficiente tra le aziende tecnologiche, i centri di ricerca pubblici e privati, i politecnici e le altre istituzioni di formazione universitaria. E’ una grande sfida, che coinvolge tutte le istituzioni pubbliche, le Università e le imprese: soltanto se “facciamo sistema”, a livello locale e a livello europeo, potremo competere con successo con le realtà molto aggressive che si sono sviluppate in altri Paesi.
Giugno 2006