La sfida del cambiamento nei contesti organizzativi

Il tema del workshop, a cui si ricollega il numero monografico della Rivista IPEJM, vuole mettere in risalto la differente natura e le molteplici finalità che può assumere l'azione imprenditoriale e manageriale orientata alla progettazione e al cambiamento di strutture e processi organizzativi.
La ricerca di migliori livelli di efficienza, efficacia, così come l'obiettivo di legittimazione istituzionale possono infatti rappresentare, di volta in volta, altrettanti driver degli interventi di progettazione o ri-progettazione organizzativa, con l’obiettivo ultimo di raggiungere o mantenere elevati livelli di competitività sui mercati.
Sulla base di queste premesse è interessante capire come si muovono imprenditori e manager, in particolare come “manovrano le leve” dell’organizzazione. Da questo punto di vista, l’osservatorio associativo di Assochange – Associazione italiana per il change management -ci pare di particolare interesse per uno sguardo di orizzonte più ampio. Abbiamo chiesto al presidente Salvatore Merando di rispondere ad alcune domande.
Come sono affrontate situazioni in cui differenti pressioni al cambiamento (interne vs. esterne, in particolare pressioni istituzionali) richiedono di definire/ridefinire l’organizzazione aziendale secondo criteri diversi?
Le organizzazioni attivano programmi di trasformazione organizzativa tipicamente muovendosi secondo due approcci:
- una risposta reattiva a stimoli esogeni ed endogeni
- una risposta proattiva anticipando gli stimoli o attuando ben definiti passaggi strutturali conseguenti a delle strategie delineate.
In entrambi i casi comunque l’impostazione più tipica con la quale viene gestita la definizione/redefinizione dell’organizzazione aziendale (parziale o totale) è quella di istituire una task force, assegnando responsabilità in carico a delle unità organizzative (tipicamente la struttura Organizzazione, se esistente, oppure la Direzione del personale, oppure la stessa unità di business deputata al cambiamento) e organizzando di conseguenza un progetto ad hoc
Quali sono gli ingredienti perché un’azione deliberata di cambiamento organizzativo (riguardante di volta in volta strutture, processi o pratiche di lavoro) prenda forma concreta nella realtà aziendale, cioè perché il cambiamento sia effettivo e non rimanga sulla carta?
Le buone norme di attuazione di cambiamenti organizzativi vedono il concorso di vari elementi. Innanzitutto l’indicazione del raggiungimento di concreti benefici aziendali (perché fare tale cambiamento). Dopodiché si devono mettere in atto una serie di azioni legate a fattori chiave, dalla leadership coinvolta e motivata a perseguire il cambiamento, dalla comunicazione chiara ed efficace per facilitare la transizione, dalla motivazione del management di linea – di fatto i principali agenti del cambiamento - , dalla realizzazione di una serie di cambiamenti operativi sui processi, sulle procedure, sui sistemi, dalla capacità di rendere i lavoratori partecipanti attivi e coinvolti (la cosiddetta “accountability” o in altre parole “ cosa me ne viene a me di tale cambiamento o come sono misurato per l’attuazione di tale cambiamento”), dalla velocità con cui si attua il cambiamento stesso, dalla rimozione o meno di paure e stress a livello di singolo individuo.
Eventuali situazioni di disaccoppiamento (decoupling) tra organizzazione formale e concreti comportamenti organizzativi devono necessariamente essere considerate “patologie organizzative” o trovano una loro ragion d’essere?
Questo tema è una situazione molto tipica che si attua all’interno delle organizzazioni. Uno dei più classici motivi per cui tale situazione si verifica è legata al fatto che possono aversi difficoltà (più o meno oggettive) ad attuare i cambiamenti ipotizzati e pianificati per cui risulta più facile perseguire dei “workaround” operativi più semplici, più veloci e più consoni ai sistemi e alle procedure utilizzate. Altre situazioni più “sofisticate” possono essere catturate e analizzate attraverso tools come l’Organizational Network Analysis, in cui si possono comparare alberi organizzativi formali con alberi organizzativi reali basati sulle informazioni e sugli input e output che le varie persone e/o le varie unità organizzative attuano.
Più che considerarle patologie, o delle ineluttabili discrepanze, le aziende devono in realtà pensare tali disaccoppiamenti in modo positivo; le best practices indicano, infatti, che da tali situazioni possono derivare l’attuazione di comportamenti virtuosi e più “agili”. Le organizzazioni più virtuose sono in grado, cioè, di monitorare questi comportamenti disaccoppiati, analizzarli, testarli e conseguentemente mettere in atto azioni di riallineamento (macro e micro) che permettono di colmare il gap. Questo comportamento fa di fatto la differenza tra aziende agili e aziende tradizionali. Inoltre tali riaggiustamenti, di fatto facilitano cambiamenti anche culturali attivando di fatto una logica di “test& try” continuo, di gestione virtuosa dell’errore e di fatto introducendo comportamenti molto più proattivi da parte di tutta l’organizzazione
Qual è il ruolo (contributo) della ricerca scientifica e della razionalità nelle scelte e nella definizione dei programmi di cambiamento organizzativo?
Il contributo della ricerca scientifica risulta sempre molto utile e di stimolo per realizzare cambiamenti organizzativi. Si pensi per esempio alle molteplici iniziative legate all’introduzione delle logiche di Business Process Reengineering, piuttosto che dei cambiamenti attuati all’interno delle direzioni del personale con le logiche dell’introduzione dei ruoli di business partner e di strutture orizzontali, o i temi più recenti dell’extended enterprise o dell’open innovation.
In altri termini, i temi di ricerca offrono spunti importanti al management delle aziende perché indicano le strade attuative, offrono elementi di comparazione, determinano una casistica di best practices.
Quale ruolo su questi temi gioca la Vostra associazione?
Assochange, associazione Italiana di Change Management, cerca di diffondere buone pratiche relativamente al modo con cui gestire i cambiamenti all’interno delle organizzazioni. Il tutto attraverso attività di ricerca e confronto tra aziende, professionals e università. Nata ormai più di 14 anni fa, è diventata un punto di riferimento sul tema del Change Management per importanti aziende italiane ed estere operanti in Italia. Per poter supportare il lavoro di ricerca, da sempre uno degli asset principali di Assochange – negli ultimi due anni i gruppi di lavoro avviati sono stati sul Digital Change, sulla Change Capability e di come monitorare i programmi di cambiamento, si è ritenuto importante avviare un’opera di raccordo con importanti atenei e dipartimenti italiani, stabilendo innanzitutto una partnership con ASSIOA, che ha già portato nel 2017 università prestigiose all’interno dell’associazione e con le quali vogliamo stabilire un percorso insieme e osmotico per contribuire da un lato a una gestione sempre più efficace dei cambiamenti all’interno delle aziende, dall’altro avere un supporto scientifico da parte delle università sulle varie tematiche di confronto che emergeranno e in definitiva creare un ponte grazie ad Assochange tra mondo delle aziende e mondo della ricerca sui temi del change management.
Infine voglio segnalare che a livello di ricerca, Assochange contribuisce ormai dal 2015 attraverso la pubblicazione dell’Osservatorio sul Change Management in Italia, che monitora lo stato dell’arte del Change Management attraverso il contributo di più di cento aziende. Anche quest’anno si sta predisponendo l’edizione numero III che verrà presentato in anteprima in un evento il prossimo 1 dicembre a Milano, contestualmente con l’assegnazione del VI Premio Assochange, con il quale Assochange segnala un’azienda che si sia particolarmente distinta nella gestione dei programmi di change. In passato il Premio Assochange è stato assegnato al Comune di Milano, al Gruppo Ferrovie dello Stato, al Gruppo Dallara, alla Pirelli e ad ACEA.
Settembre 2017