La formazione e le sfide dello sviluppo: l'esperienza di un imprenditore nella governance di un'università

Luigi Serra è Amministratore Delegato insieme alla sorella Alessandra della società di famiglia, la “Serra Industria Dolciaria”, che ha sede a Novi Ligure in Provincia di Alessandria.
Luigi Serra vanta una lunga esperienza associativa, prima nei Giovani Imprenditori ed in Confindustria Alessandria, e poi a livello nazionale con responsabilità significative nel campo della formazione. Attualmente è Presidente di Sfc - Sistemi Formativi Confindustria ed è Vice Presidente Esecutivo della LUISS-Libera Università Internazionale degli Studi Sociali “Guido Carli”. Un’esperienza dunque, la Sua, a cavallo tra gestione della produzione e gestione della formazione, in presa diretta con problemi critici oggi dal punto di vista della capacità del Paese di superare la crisi e di affrontare la sfida del cambiamento. Intorno a questi problemi ci è sembrato di particolare interesse porgli alcune domande, e le risposte che abbiamo avuto, al netto delle specificità della LUISS, rappresentano riflessioni e stimoli importanti ai fini della progettualità oggi necessaria nel campo della formazione per fornire risposte utili ai giovani ed al Paese.
Dott. Serra, Lei è un imprenditore ma dal 2009 è anche Presidente di Sistemi Formativi Confindustria e dal 2013 Vice Presidente esecutivo della LUISS, che è una delle più importanti Università italiane. Come nasce questo percorso?
Fin da giovane ho visto nell’associazionismo, istintivamente e − lo dico scherzosamente − pur non avendo ancora letto Tocqueville, un momento di partecipazione attiva alla vita sociale, diverso e complementare rispetto all’impegno in politica. Agire nei Giovani Imprenditori in un periodo (il decennio 85-95) in cui si avvertiva una forte spinta al cambiamento, senza i radicalismi e le contrapposizioni che avrebbero caratterizzato il ventennio successivo, è stato estremamente formativo, e per un esponente di una piccola impresa anche molto “sprovincializzante”. Un’occasione unica, che ho colto completamente e con passione. Col tempo, l’impegno in Confindustria si è spostato dall’ambito locale a quello nazionale, e l’interesse per la formazione ha influenzato le mie scelte, così come le proposte che mi sono state fatte di ricoprire ruoli di vertice.
Il Paese sta vivendo ormai da anni una fase molto complessa e difficile, al tempo stesso di crisi e di cambiamento. Quale ruolo deve giocare secondo Lei la formazione, soprattutto a livello universitario e con particolare riferimento al campo dell’economia e dell’impresa, per contribuire a ritrovare la via dello sviluppo?
Bisogna fare una premessa. È un periodo in cui il tasso di disoccupazione giovanile, come ci ricordano in continuazione gli organi d’informazione, è al 43,3 %. Ed è fondamentale capire il ruolo che le Università devono avere nel promuovere processi di sviluppo, volti a colmare questo deficit occupazionale, che conta oggi 2 milioni di ragazzi fra i 15 e i 29 anni che non studiano né lavorano, i cosiddetti NEET, e ben 708 mila giovani disoccupati, che cercano un lavoro e non lo trovano.
Fra le cause che hanno portato ad un tasso di disoccupazione così elevato, ci sono due tendenze. Da una parte, l’evoluzione del mercato del lavoro, che è diventato tanto più aperto, quanto più complesso e competitivo; e, dall’altra, la scarsa visione di Università e istituti di formazione nel non riuscire a recepire il cambiamento in corso e le richieste del mercato del lavoro di nuove figure professionali, orientate all’innovazione e al settore dell’Information Technology. Questo ha determinato un mismatch fra domanda e offerta di lavoro, con la conseguenza diretta di un aumento del tasso di disoccupazione anche fra i giovani più specializzati.
L’Università in questo contesto deve essere sempre più in grado di formare donne e uomini che sappiano essere professionisti competitivi su scala globale. Dalle Università italiane devono uscire laureati che conoscano non solo quello che hanno studiato, ma anche il mondo che li circonda, così da poter guidare il cambiamento, senza più doverlo rincorrere. Quindi, in sostanza, bisogna saper leggere ed “ascoltare” il mercato, ed essere in grado di adattarsi rapidamente e con grande qualità.
Quella della formazione è quindi la vera sfida che attende il paese nei prossimi anni, assolutamente cruciale per costruire, fin da ora, un futuro ai nostri figli e nipoti. I ragazzi, fin dai primi anni di scuola, devono essere aiutati a sviluppare una maggiore consapevolezza di ciò che sono e vogliono diventare. Bisogna insegnare a coltivare una vocazione, assecondando le loro passioni e i loro sogni.
Passioni e sogni. Sono queste secondo Lei le chiavi giuste per affrontare la sfida con successo?
Si, occorre dare ai ragazzi la possibilità di scoprirsi e valorizzarsi, di esprimersi completamente, di coltivare le proprie passioni ed i propri interessi, di esprimere tutto il loro potenziale. D’altra parte però bisogna anche avere la consapevolezza che gli studenti iniziano l’Università in un mondo che, per quando la finiranno, sarà già cambiato. Non possiamo dare tutte le competenze specifiche che serviranno per essere competitivi sul mercato del lavoro tra 5 anni, perché alcune di queste skills sono ancora sconosciute. Quello che possiamo fare è formare delle persone in grado di affrontare il cambiamento, sfruttando le opportunità che questo porta con sé.
Ci può dire ora se ed in che modo l’esperienza di imprenditore e di manager ha contribuito a caratterizzare il Suo impegno nel campo della formazione, soprattutto nell’ambito dell’Università?
Credo che provenire da una realtà aziendale sia stata molto importante.
Mi ha insegnato la ricerca della qualità, prima di tutto, che per un’Università significa in particolare livello elevato dell’insegnamento, dell’offerta formativa, dei servizi agli studenti.
E poi l’idea di dover competere in un mercato globale è la stessa di un imprenditore.
C’è un terzo elemento, poi, che è il prezioso equilibrio tra innovazione e tradizione necessario a un’azienda affermata per restare al vertice senza perdere la propria identità.
Ci può dare qualche esempio di come questo mix di indicazioni si realizza concretamente nell’attività della LUISS? E più in generale ci può dire, in base alla sua esperienza, come la presenza di una componente imprenditoriale nella governance di una Università può contribuire a configurarne le politiche e le iniziative?
Sul primo punto, cercherò di essere sintetico, ma avrei moltissimi spunti da offrire.
- Quando parlo di valorizzazione della personalità dello studente, alludo anche ad un progetto LUISS che coinvolge tutte le matricole, la cosiddetta “Biografia dello Studente”. Una task force di tutor, e in qualche caso anche di counselor, le segue e le guida all’interno di un mondo che, oltre a lezioni universitarie di alta qualità, offre un’enorme quantità di attività parallele alla didattica. Dalla radio al volontariato, dai laboratori sull’innovazione e dalla governance dei beni comuni all’orto condiviso, dai giornali universitari ai business game. Tutto questo aiuta i ragazzi a costruirsi come persone a 360 gradi, e non solo come studenti. Possono scegliere le proprie esperienze, tutte a portata di mano, e quindi, in un certo senso, la propria biografia. Credo sia una possibilità davvero impagabile, che li prepara a quello che per molti sarà la fase più delicata della vita: la transizione tra studio e lavoro.
Su questo punto, l’8° Rapporto sulla Classe Dirigente (LUISS-Fondirigenti) è stato esplicito. Lo snodo formazione lavoro è cruciale, e proprio la sua mancata fluidità è causa di gravi ritardi nell’employability. Il Rapporto ha calcolato l’enorme impatto sul PIL che avrebbe una seria riforma che parta dagli Istituti Scolastici ed arrivi anche tramite l’Università al momento dello sbarco nel mondo del lavoro. - Il mondo del lavoro è sempre più orientato ai tecno-mestieri. Stiamo già vivendo un’epoca di diffusione pervasiva della digitalizzazione o come la definisce l’Economist di “un’altra rivoluzione copernicana” che erode posti di lavoro tradizionali ma ne crea altri. Da qui l’idea di creare percorsi di studi che guardano al futuro. Innovation & Entrepreneurship, in lingua inglese, oppure il corso di Laurea Magistrale in Marketing, e l’indirizzo in Marketing analytics & metrics, o ancora il corso di Laurea Magistrale in Digital Management. E poi, quando prima parlavo di intercettare le esigenze del mercato, non ho menzionato LUISS ENLABS, la fabbrica delle start up, che è un ecosistema fondato proprio su un nuovo modo di fare business, sempre più incentrato sull’autoimprenditorialità, sul fare impresa, sul creare il proprio lavoro invece di cercarlo. LUISS ENLABS è uno spazio di circa 2000 mq, ospitato al secondo piano della Stazione Termini, nel quale si creano innovazione e posti di lavoro, che sono finora oltre 250. Stiamo parlando dell’unico acceleratore d’impresa italiano che ha alle spalle una società di venture capital quotata in borsa, LVenture, che ha investito nella fabbrica di start up 2,8 milioni di euro e circa 9 milioni e mezzo sono stati i finanziamenti effettuati assieme ad altri investitori.
- La LUISS del prossimo futuro infine progetta interazione con imprese e istituzioni italiane e straniere, percorsi esclusivi e integrati per l' inserimento dei laureati nel mondo del lavoro come abbiamo detto prima, puntando anche sull’ internazionalizzazione, che sta nel DNA dell’acronimo LUISS, con un' ampia rete di scambi per semestri all' estero e di doppie lauree con prestigiose Università in Europa, Asia, America …..
In questo modo anche la LUISS ricerca il suo equilibrio, riuscendo a essere estremamente innovativa e allo stesso tempo a rafforzare i suoi punti di forza storici.
Ma vorrei collegarmi all’ultima parte della domanda, se cioè la presenza di una componente imprenditoriale nella governance di una Università può contribuire a configurarne le politiche e le iniziative. Rispondo senz’altro di sì: avere nel vertice esponenti del mondo delle imprese (e sia nel Comitato Esecutivo che nel CdA di LUISS ce ne sono davvero di prestigiosi) ha una profonda, positiva influenza sulla gestione dell’Ateneo. Selezione dei componenti della Struttura e dei Docenti, regole chiare, attenzione ai costi e all’efficienza, spinta verso l’innovazione e verso l’internazionalizzazione, valorizzazione del merito, difesa dall’influenza delle corporazioni. Cerchiamo di tradurre in pratica tutto ciò, e i risultati penso che si vedano.
E invece, per finire, l’esperienza nel campo della formazione come ha influito sulla sua attività di imprenditore e manager?
Mi ha dato la conferma e mi ha fatto prendere coscienza di come l’apprendimento e il miglioramento siano processi che non hanno una vera e propria conclusione, ma che ci devono accompagnare per tutta la vita, come individui e come collettività. Oltre alla conoscenza, ai nostri studenti trasmettiamo la capacità di imparare e la curiosità per farlo. Si chiama life-long learning, ed è una delle parole chiave del tempo in cui viviamo. E sulla quale dobbiamo investire sempre.
a cura di Pier Maria Ferrando
Gennaio 2015