La crisi dei mercati finanziari: l'esperienza ed il punto di vista di una banca

In occasione del Convegno di inaugurazione del Corso di Laurea Magistrale: "Economia ed Istituzioni Finanziarie; Indirizzo: Banca e Finanza" della Facoltà di Economia dell’Università degli Studi di Genova, il prof. Marco Di Antonio, ordinario di Economia degli Intermediari Finanziari presso l'Ateneo genovese, ha intervistato il dott. Ennio La Monica, recentemente nominato, con decorrenza dall' 1 maggio 2010, Direttore Generale del Gruppo Banca Carige S.p.A.
Il Convegno, dal titolo "La crisi dei mercati finanziari: impatto sui modelli di business e di vigilanza", si è svolto presso la Facoltà di Economia di Genova, il 10 novembre 2009.
Il Presidente dell'ABI Corrado Faissola, in occasione dell'85a giornata mondiale del risparmio, tenuta a Roma lo scorso 29 ottobre, ha affermato che "nel mondo, molti sistemi bancari si interrogano oggi sul loro futuro; su come ridefinire un modus operandi che è stato travolto da una crisi epocale". Secondo Lei questo giudizio vale anche per il sistema bancario italiano?
La mia opinione è che il modo prevalente di fare banca in Italia si è in realtà dimostrato un solido baluardo di fronte alla crisi ed è riuscito a difendere quella "sana e prudente gestione" che è la necessaria condizione per ogni successo che voglia essere sostenibile nel tempo. In Italia, questo modo prevalente di fare banca è quello cosiddetto tradizionale, che non significa "arretrato", ma "orientato all'intermediazione classica": la banca raccoglie il risparmio e lo presta a famiglie e imprese che intendono investire. Sono sicuramente necessari alcuni aggiustamenti nella gestione delle nostre banche, ma il giudizio positivo di fondo non cambia.
A quali "aggiustamenti necessari" fa riferimento?
Penso ai modelli organizzativi, che si sono forse spinti troppo in là nella direzione della divisionalizzazione, ad alcuni strumenti gestionali e in particolare ai sistemi incentivanti, alle modalità di ricorso all'innovazione finanziaria: si pensi al "cattivo utilizzo" dei derivati e delle cartolarizzazioni. Tra l'altro, nella maggior parte dei casi, i correttivi da apportare non devono mettere in discussione l'utilità degli strumenti, quanto piuttosto l'uso distorto che di essi è stato fatto in ambito gestionale.
Tuttavia, all'interno del nostro sistema non sono mancate le situazioni di difficoltà, che hanno interessato soprattutto alcune banche.
Mi sembra che tali casi, specie se ci confrontiamo con i sistemi bancari esteri, siano stati molto limitati. Essi vanno ricondotti prevalentemente a incoerenze nella gestione strategica e operativa che risalgono agli anni passati e che la crisi ha di fatto acuito.
Già si inizia (per fortuna) a parlare di exit strategy: che prospettive si aprono per il futuro del nostro sistema bancario?
Penso che, fedeli al principio secondo cui nei periodi di turbolenza è necessario sfruttare le opportunità, ma anche minimizzare la vulnerabilità, le banche italiane debbano, ora che la fase acuta della crisi sembra essere passata, proteggere i loro equilibri economici–finanziari e patrimoniali con una chiara visione strategica e con scelte gestionali coerenti, evitando di assumere ulteriori rischi. Certo, le sfide sono davvero difficili: penso ad esempio alla necessità di fronteggiare il forte calo della redditività derivante dalla contrazione degli spread dei tassi, che penalizza proprio chi ha fondato il suo modello sull'intermediazione del denaro. In 12 mesi lo spread si è ridotto mediamente di un terzo; ciò non può non ripercuotersi negativamente sul margine di interesse, che rappresenta circa il 50% dei ricavi delle nostre banche. In definitiva, mi sembra di poter affermare che in periodi di incertezza (che, ricordo, a differenza del rischio non si può nè prevedere, nè misurare) è ancora più difficile, ma vitale per l'azienda, fare scelte che ne garantiscano la sostenibilità nel tempo.
Parliamo ora di Banca Carige: come si colloca nello scenario descritto?
Innanzitutto, Carige rappresenta molto bene quel modello tradizionale e prevalente nel nostro sistema cui ho accennato: è una "banca del territorio" ed è una banca dedita prevalentemente all'"intermediazione classica". Le sue dimensioni sono apprezzabili e in forte crescita, ma proprio la crisi ha fatto emergere che la questione chiave non è costituita dalle dimensioni, ma dal modello di business.
Il fatto di ispirarsi a un modello tradizionale di banca ha permesso anche a Carige, come a molte delle nostre banche, di assorbire meglio i contraccolpi negativi della crisi sui risultati?
Direi proprio di sì. Penso che pochi numeri di sintesi facciano capire come in effetti la banca stia attraversando senza troppi scossoni la violenta tempesta. La redditività, misurata dal ROE, è passata dal 7,11% del 2006 al 10,28% del 2007, al 7,65% del 2008, al 5,70% di settembre 2009. Il coefficiente di capitalizzazione in senso stretto (Core Tier 1) è passato dall'8,30% (2006) al 7,81% (2007), al 7,08% (2008), al 6,90% (settembre 2009); nella sua accezione più ampia (Total Capital Ratio) i valori sono rispettivamente: 10,49%, 9,19%, 10,56% e 10,04%.
A proposito di equilibri gestionali, la crisi è stata però in gran parte una crisi di liquidità; è proprio questo che ha sorpreso e trovato impreparati tanto gli operatori quanto i regulators. Qual è la situazione di Carige da questo punto di vista?
La posizione attuale è soddisfacente: 3.305,6 milioni di €, con un prestito covered bond a 7 anni di 1 miliardo a un tasso del 3,75%, cioè 60 basis points sopra al corrispondente tasso Interest Rate Swap (un prestito interamente collocato in meno di 2 ore!). Ma ancora di più, a prova della solidità della banca, credo valga quello che si è registrato nella fase più acuta della crisi finanziaria, cioè negli ultimi tre mesi del 2008, successivamente alla crisi di Lehman Brothers del 15 settembre. Anche in queste drammatiche fasi la nostra clientela ci ha dimostrato la sua fiducia, continuando a sottoscrivere le nostre obbligazioni: la media giornaliera delle obbligazioni Carige collocate presso il pubblico nel periodo settembre-dicembre 2008 è stata molto elevata: 11, 4 milioni di euro.
Da dove nascono i risultati appena ricordati? Quali le ragioni della complessiva "tenuta di fondo" di Carige?
Le ragioni stanno in due principali fattori strutturali e in alcuni orientamenti strategici di fondo; quegli stessi fattori e orientamenti che hanno permesso alla Carige, negli ultimi 20 anni, di passare da una banca regionale (di fatto provinciale) con 137 sportelli (131 in Liguria, 94 a Genova) e circa 3.000 dipendenti, ad un conglomerato finanziario (bancario-assicurativo) nazionale con 643 sportelli e 383 agenzie assicurative e circa 6.000 dipendenti.
Il primo dei due fattori strutturali riguarda il paradigma ambiente–strategia–struttura–performance: esso richiede di definire in modo coerente le proprie strategie e adeguare la struttura organizzativa a quelli che sono i cambiamenti dell'ambiente circostante e gli obiettivi che ci si prefigge di realizzare. Questa coerenza deve valere sia tra i sistemi gestionali presenti in azienda (si pensi ai rapporti tra il sistema incentivante e la pianificazione commerciale), sia all'interno di ogni singolo sistema gestionale (il sistema incentivante deve ad esempio tener conto delle caratteristiche delle risorse umane presenti in azienda).
Il secondo fattore strutturale consiste nella presenza di un sistema di governo e controllo che si occupi dell'allocazione delle risorse scarse (in primis capitale e risorse umane) e verifichi nel continuo la redditività e la rischiosità delle scelte effettuate. Si tratta, in altri termini, di disporre di un efficace ed efficiente sistema di Pianificazione e Controllo basato sulla pianificazione strategica, il controllo di gestione e il risk management.
E quanto all’orientamento strategico di fondo della banca?
Esso è fondamentale e caratterizza profondamente l'operato di Carige, distinguendolo da quello di altre banche che pure si ispirano al nostro stesso modello di banca tradizionale e del territorio. Il nostro orientamento strategico si può articolare nei seguenti punti:
1. il mantenimento dell'indipendenza attraverso la crescita, quale via migliore per svolgere effettivamente ed efficacemente il ruolo di banca vicina al territorio;
2. il mantenimento di un forte presidio del mercato ligure;
3. lo sviluppo dell’attività secondo il modello di business commerciale e retail;
4. la scelta di possedere le fabbriche prodotto;
5. lo sviluppo di un business bancario-assicurativo, nella convinzione dell'esistenza di una forte complementarità commerciale e di una minor correlazione macroeconomica tra i due business;
6. la ricerca continua dell'innovazione tecnologica, di prodotto, di processo;
7. l'utilizzo di un orizzonte di medio-lungo periodo nella valutazione delle scelte strategiche;
8. la gestione in modo attivo ed anticipatorio del cambiamento;
9. l'etica del lavoro, come vantaggio competitivo distintivo, e la centralità del cliente;
10. la cura delle competenze delle risorse umane e la creazione di una struttura manageriale coesa, coinvolta e cresciuta all'interno del Gruppo.
Uno degli aspetti che più colpiscono chi conosce o ha a che fare con Carige è la cultura aziendale, forte e allo stesso tempo condivisa, spesso con un senso di orgoglio e appartenenza, da larga parte del personale. Come spesso è stato sottolineato in questi mesi, la crisi fa emergere con ancora maggiore evidenza l'importanza dei valori aziendali.
E' così. Accanto al modello di business, e direi insito nello stesso, l'elemento soft costituito dai valori aziendali ha per Carige una centralità assoluta. Lo conferma il fatto che recentemente, fedeli ad un principio di fondo ("non perdere mai di vista i valori fondamentali dell’azienda") abbiamo deciso di avviare un importante progetto sui valori. Esso ha tra le sue finalità anche quella di integrare le diverse culture entrate nel gruppo con l'acquisizione di 4 banche, 6 reti di sportelli e 2 compagnie assicurative.
Ci può illustrare le caratteristiche salienti di tale progetto?
Il progetto, avviato nel 2008, ha vissuto due fondamentali momenti di snodo, coincidenti con le due convention di Gruppo. Quella del maggio 2008, sul tema dell'integrazione di gruppo, è stata l'occasione per l'iniziale riflessione sul nostro DNA; quella dell'anno successivo, dal titolo significativo: "Gruppo Carige: la forza delle radici", ha costituito il momento di presentazione dei risultati. In quella sede sono stati esplicitati i nostri valori chiave:
● solidità: equilibrio, sobrietà, prudenza, lungo termine;
● vicinanza: cordialità, territorio, disponibilità, spirito di servizio;
● integrità: legalità, onestà, correttezza;
● credibilità: affidabilità, competenza, coerenza, conoscenza dei limiti.
Attualmente il progetto è nella fase di implementazione e di traduzione a cascata dai quadri direttivi a tutti i 6.000 dipendenti.
In conclusione, qual è la "lesson to be learned" della crisi? Quali sono, secondo le sue percezioni e la sua esperienza, gli insegnamenti che le banche sono chiamate a trattenere per il futuro prossimo e meno prossimo?
Siamo entrati nell'"era della turbolenza"; l'ambiente instabile e caotico sarà la nuova normalità. Anche in tale contesto, anche all'interno di una crisi violenta come quella attuale è tuttavia possibile ottenere buoni risultati e contribuire allo sviluppo del Paese, se si riesce a mantenere coerenza tra il ruolo svolto nell'ambito del sistema economico e le scelte gestionali, strategiche e operative. Sono state le decisioni sbagliate del management, assunte prima o durante la crisi, che hanno favorito e ampliato gli effetti negativi della stessa. Ne consegue che è proprio nei momenti più difficili che vengono alla luce le differenze tra le diverse banche e che occorre quindi saperle distinguere. Questo non per stilare la classifica dei "buoni" e dei "cattivi", ma per evitare di fare una "marmellata", se mi è consentito il termine, che come tale non aiuta l'analisi, non favorisce la comprensione e il ritorno della fiducia.
Gennaio 2010