Le imprese nella transizione ecologica
Stiamo vivendo una fase di evoluzione dell’economia e della società peculiare e cruciale. La pandemia ha accelerato la necessità di trasformazione del modello di sviluppo in una prospettiva che sappia coniugare: le esigenze economiche di una ripresa equilibrata e lungimirante, con quelle sociali connesse ad una giusta transizione che non lasci indietro nessuno, con quelle ambientali di una più sistematica attenzione all’erosione del capitale naturale e alla ricerca di un nuovo equilibrio con la natura. A tale modello di sviluppo si ispira il Green Deal Europeo e sono orientate le ingenti risorse dei Piani Nazionali di Ripresa e Resilienza.
Il PNRR italiano, approvato pochi giorni fa dalla UE, prevede investimenti pari a 191,5 miliardi di euro, finanziati attraverso il Dispositivo per la Ripresa e la Resilienza, lo strumento chiave del Next Generation EU, a cui si aggiungono ulteriori 30,6 miliardi, parte di un Fondo complementare, finanziato attraverso lo scostamento pluriennale di bilancio approvato nel Consiglio dei ministri del 15 aprile. Il totale degli investimenti previsti è, dunque, di 222,1 miliardi di euro. Nel suo complesso, il Piano alloca il 40% agli investimenti per la transizione verde e il contrasto al cambiamento climatico, il 27% alla digitalizzazione e più del 10% alla coesione sociale. Già entro luglio dovrebbero arrivare da Bruxelles i primi 25 miliardi di euro.
Nel mentre si sta assistendo ai primi segnali di ripresa e i prossimi anni saranno cruciali per l’Europa e, soprattutto, per un Paese come il nostro che forse è di fronte all’ultima opportunità per recuperare alcuni dei deficit strutturali che si sono cristallizzati negli ultimi tre decenni.
Le imprese devono essere protagoniste di questa occasione. Molte sono infatti consapevoli della necessità di cambiare il proprio purpose e i modelli di business alla luce della sfida della sostenibilità, intesa nella triplice dimensione sopra citata. In un recente numero del nostro Journal abbiamo dibattuto sulla svolta recentemente adottata dalla Business Round Table americana che ha, forse tardivamente, fatto proprio questo cambiamento. Si tratta ora di comprendere cosa stia effettivamente accadendo nel mondo delle imprese e in che senso possiamo considerarle attori chiave della trasformazione in corso.
Il Green Deal ha individuato a fine 2019 alcuni primari processi di transizione, strettamente connessi all’Agenda 2030 delle Nazioni Unite, a cui la Commissione Europea ha dato seguito con specifici Piani e Strategie nell’ultimo anno e mezzo. Le imprese sono di fatto chiamate a contribuire concretamente a questi ambiti di azione.
La decarbonizzazione
La prima transizione è chiaramente quella inerente la decarbonizzazione. Qui gli obiettivi definiti a livello europeo, in coerenza con l’accordo di Parigi sul clima, prevedono una riduzione del 55% delle emissioni di CO2 al 2030, per giungere alla piena decarbonizzazione (net zero carbon) entro il 2050.
Ridurre le emissioni di gas a effetto serra per cercare di contenere l’aumento della temperatura media globale (limitandolo ben al di sotto dei 2°C) è un obiettivo prioritario, poiché i recenti studi dimostrano che ai livelli di policy e azioni attuali, l’incremento è pericolosamente stimato oltre i 3°C e sarà necessario ridurre le emissioni globali del 7,6% ogni anno per il prossimo decennio per raggiungere gli obiettivi dell’Accordo di Parigi.
Si tratta di impegni molto rilevanti che non possono prescindere da un contributo proattivo delle imprese.
Occorre sottolineare come stiamo effettivamente assistendo ad un crescente committment da parte dei vertici di molte aziende, che hanno identificato la possibilità di costruire delle roadmap di lungo periodo (in alcuni casi all’interno di piani industriali decennali) per articolare un percorso strategico strutturato.
Le aziende europee sono tra quelle impegnate in modo più significativo, con 730 imprese (di cui 22 italiane) su 1387 che aderiscono all’iniziativa Science Based Targets, creata da UN Global Compact, Carbon Disclosure Project, World Resources Institute (WRI), WWF per supportare il settore privato nell’accelerare la definizione di obiettivi di riduzione delle emissioni di gas serra.
Per incoraggiare le aziende aderenti a porsi target aziendali “science-based” il Global Compact delle Nazioni Unite, la più importante iniziativa di corporate sustainability, ha lanciato la campagna Business Ambition for 1.5 per massimizzare gli sforzi di riduzione delle emissioni, che si traducono per il settore privato in un migliore posizionamento verso un’economia “Net Zero”. Agire in questa prospettiva significa impegnarsi non soltanto per la riduzione delle emissioni direttamente imputabili alle imprese, ma anche per quelle indirette, inerenti l’intera catena di fornitura (il cosiddetto Scope 3). In questo modo le grandi imprese possono svolgere una funzione di coinvolgimento dell’economia nel suo complesso in un percorso di trasformazione che richiede il contributo delle piccole e medie imprese. Il Global Compact Network Italia a maggio ha dedicato il proprio High Level Meeting proprio alla decarbonizzazione e oltre 30 CEO di importanti imprese hanno presentato le proprie strategie nella lotta al cambiamento climatico, dimostrando una forte consapevolezza sulla rilevanza di questo tema nell’immediato futuro, ponendosi obiettivi spesso molto ambiziosi.
Il ruolo della finanza
In parte questi impegni sono fortemente connessi alla crescente attenzione della finanza rispetto a quelle imprese che sono in grado di dotarsi di una prospettiva strategica coerente con la decarbonizzazione e la sostenibilità. Ha cominciato Larry Fink di Blackrock a rivolgersi alle imprese richiedendo una visione lungimirante nell’ottica della sostenibilità e impegni coerenti, ma negli ultimi due anni anche in Italia abbiamo visto sempre più imprese emettere obbligazioni Green, riscuotendo un grande successo nel mercato.
Le condizioni per l’accesso a questi finanziamenti definiti dai collocatori, ma anche dai regolatori europei, sono sempre più stringenti e si richiamano proprio a chiari e coerenti obiettivi definiti dalle imprese all’interno delle transizioni green, proprio a partire dalla decarbonizzazione.
Abbiamo così assistito all’emanazione del Regolamento UE 2020/852 che definisce l'implementazione a partire dal 1° gennaio 2022 della Tassonomia Europea o, più recentemente (e ne parliamo proprio in questo numero di Impresa Progetto con un contributo di Alessandro Lai), alla Nuova Proposta di direttiva europea sul reporting di sostenibilità.
Nella tassonomia, volta a definire un sistema di classificazione delle attività economiche ecosostenibili, troviamo l’indicazione degli obiettivi chiave della UE: la mitigazione dei cambiamenti climatici; l'adattamento ai cambiamenti climatici; l'uso sostenibile e la protezione delle acque e delle risorse marine; la transizione verso un'economia circolare; la prevenzione e il controllo dell'inquinamento; la protezione e il ripristino della biodiversità e degli ecosistemi.
In tema di lotta al cambiamento climatico non basta quindi che le imprese si preoccupino della riduzione delle emissioni di gas serra, ma serve anche una forte attenzione all’adattamento ai cambiamenti che sono già in corso.
L’economia circolare
É altresì importante osservare come tra gli ambiti chiave per gli investimenti green via sia la transizione verso l’economia circolare. Si tratta di un nuovo modello di produzione e consumo orientato a “chiudere il ciclo di vita dei prodotti”, aumentandone la durevolezza, il riciclo e riducendo ogni spreco lungo la catena del valore. La Commissione Europea ha recentemente emanato il Secondo Piano di Azione sull’economia circolare, in cui si intensifica l’impegno della Commissione per trasformare i rifiuti in risorse, facendo sì che i beni siano progettati per durare più a lungo, essere più facili da riutilizzare, riparare e riciclare e incorporare il più possibile materiale riciclato anziché materia prima primaria.
In questa prospettiva l'usa e getta sarà limitato, saranno vietati l’“obsolescenza programmata” e la distruzione di beni durevoli invenduti, mentre i consumatori avranno accesso a informazioni affidabili sulla durata e riparabilità dei prodotti.
Il piano prevede un’attenzione dedicata sui settori che utilizzano più risorse e in cui il potenziale di circolarità è elevato quali: elettronica e ICT, batterie e veicoli, Imballaggi, materie plastiche, tessili, costruzioni ed edifici, settore alimentare.
Anche in questo ambito le imprese sono chiamate a fare la differenza, introducendo modelli di business innovativi, che consentano di ridurre la dipendenza da materie prime vergini, migliorino l’efficienza nell’uso delle risorse, massimizzino le potenzialità delle partnership tra imprese.
Una migliore gestione della materia è, d’altronde, insieme alla transizione verso un modello energetico basato sulle rinnovabili e sull’efficienza, una delle modalità chiave per combattere il cambiamento climatico.
In molte nostre ricerche abbiamo dimostrato come oggi le imprese che definiscono percorsi strategici verso l’economia circolare e la decarbonizzazione sono in grado di ottenere significativi vantaggi competitivi rispetto ai propri concorrenti, ma i benefici riguardano l’intero sistema economico.
Conclusione
Nella sola Unione Europea i benefici che deriverebbero dalla transizione verso uno scenario circolare al 2030 ammonterebbero a circa 1.8 mila miliardi di euro, in termini di riduzione dei costi delle materie prime, comprendendo anche la valutazione di una riduzione delle esternalità negative legate alla quantità di CO2, inquinamento e impatti sulla salute. Usando al meglio le risorse dei fondi per la ripartenza si genererebbero così una serie di circoli virtuosi, che potrebbero alimentare al meglio le transizioni in corso. Il nostro Paese deve approfittare dell’opportunità per investire bene e nei tempi serrati richiesti dal Recovery Fund, creando le condizioni non solo per un’adeguata ripartenza, ma per porre le basi di una rinnovata competitività. Tra queste una condizione importante è costituita da infrastrutture materiali e immateriali. Nel Green Deal vi sono infatti altre transizioni chiave, tra cui quella verso una mobilità più sostenibile e quella della digitalizzazione. Le tecnologie, come illustrato nel Contributo di Antonio Gozzi in questo numero, saranno cruciali per accelerare l’insieme delle trasformazioni in corso.
La quarta rivoluzione industriale è infatti il nuovo paradigma dentro il quale dobbiamo iscrivere il processo di trasformazione in corso, in cui istituzioni, imprese, consumatori e investitori sono chiamati a svolgere ciascuno il proprio responsabile ruolo.
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Il n.2/2021 di Impresa Progetto si presenta particolarmente ricco in tutte le sue Sezioni, sia dal punto di vista del numero dei lavori ospitati sia da quello della attualità e della rilevanza dei temi affrontati.
La Sezione dei Saggi referati presenta quattro papers. Due sono legati all’impatto delle nuove tecnologie sull’organizzazione del lavoro: Collevecchio, Barbizzi e Rivetti (Operator 4.0: What to Know to Share Knowledge?) esaminano le competenze-chiave degli Operatori 4.0 impegnati a condividere ed abilitare il trasferimento di conoscenze mentre Gasparre e Tirabeni (Come cambia il lavoro con la tecnologia robotica? Un’analisi organizzativa) si occupano, con riferimento alle attività di riabilitazione sanitaria, dell’interazione uomo-robot mettendone in luce l’impatto sui diversi piani dell’azione organizzativa.
Falini e Postiglione (L’efficacia e l’efficienza degli indicatori di allerta previsti dal nuovo Codice della Crisi) prendono in considerazione il nuovo sistema di indicatori di crisi previsto dalla legge 14/2019 e propongono i risultati di una analisi empirica che ne evidenzia le principali implicazioni.
Infine Satta, Vitellaro e Vottero (Il blueprint nelle imprese turistiche: un’applicazione empirica nei processi di “on board sales” del settore crocieristico) mettono in luce, sulla base di una applicazione in una impresa leader del settore delle crociere, il ruolo che il blueprint può giocare nel gestire criticità organizzative/informative, risolvendosi in un miglioramento delle performance.
La Sezione dei Contributi ospita sei lavori ed una lettera alla Rivista.
Giorgio Donna (Milton Friedman e la buona causa (purpose) dell’impresa) ripercorre a 50 anni di distanza le tesi di Milton Friedman sui fini dell’impresa (fare profitti nel rispetto delle regole del gioco e dei costumi etici), mettendo in luce come il contesto storico sia nel frattempo profondamente mutato e le preoccupazioni che animavano allora Friedman (il socialismo reale, il potere manageriale, le rendite monopolistiche) siano da contestualizzare rispetto all’evolvere dei tempi. Il contributo di Donna può essere letto in parallelo alle riflessioni proposte da Pier Maria Ferrando nella recensione al libro (Fare profitti. Etica dell’impresa, Marsilio, 2021) con cui Franco Debenedetti ripropone e difende con forza proprio le tesi di Friedman: secondo Debenedetti le attese degli stakeholders e le istanze della Corporate Social Responsibility oggi emergenti andrebbero fronteggiate come vincoli per salvaguardare un’area di autonomia entro la quale i manager possano operare in base alla logica economica. Ipotesi questa resa sempre meno proponibile dalla crescente compenetrazione di obiettivi economici, sociali, ambientali che le imprese devono perseguire congiuntamente alla luce di una adeguata definizione del purpose e del business model. I ragionamenti di Donna e di Ferrando convergono (la consonanza di diverse loro osservazioni non è casuale) nel ritenere necessario porre in termini nuovi la discussione sulle finalità dell’impresa, ripensando i temi del profitto e della responsabilità sociale in chiave di sostenibilità e ricollocandoli in un quadro di riferimento coerente con il livello di complessità dei problemi e dei contesti aziendali ed ambientali.
Il contributo di Antonio Gozzi (Le sfide della transizione ecologica) può invece essere letto in parallelo all’Editoriale di Marco Frey (Le imprese nella transizione ecologica). Mentre Frey richiama lo sforzo dell’Unione Europea per una trasformazione del modello di sviluppo in chiave di sostenibilità e l’esigenza che le imprese orientino di conseguenza le proprie scelte, Gozzi precisa i termini in cui si pone la transizione ecologica: una prospettiva epocale di evoluzione dell’economia e della società che implica radicali modificazioni nei modi di produrre, consumare e vivere coinvolgendo il ruolo dell’innovazione tecnologica e delle imprese, ma scontando anche sensibilità e priorità diverse tra mondo sviluppato e mondo in via di sviluppo.
Nella stessa Sezione poi Mazzoleni e Girgis Sorial (L’intervento statale acceleratore del risanamento aziendale) presentano i risultati di un’indagine empirica sugli interventi pubblici compiuti a fronte di situazioni di crisi aziendale nel periodo 2014-2019, e commentano su questa base le modalità più idonee per questo tipo di interventi da parte dello Stato.
Federico Fontana (Covid-19 e performance economico-finanziarie delle imprese turistiche) propone una analisi “precoce” dell’impatto della crisi sanitaria sulle imprese di questo settore: scontati gli effetti talora pesantemente negativi sugli equilibri economici, finanziari e patrimoniali, risultano impatti differenziati tanto tra i vari comparti quanto all’interno dei singoli comparti del settore, rendendo così di particolare interesse l’individuazione delle specifiche determinanti aziendali e di contesto di tali impatti.
Paola Dameri nella nota I processi di ibridazione delle imprese: dall’ibridazione interna alla meso-ibridazione sviluppa i temi anticipati nel suo intervento al webinar di Impresa Progetto del 20 maggio 2021 su “I fini e la natura dell’impresa: una frontiera in divenire" (si veda il box nella home page del sito della Rivista). La crescente complessità dei problemi e dei contesti, l’esigenza di rispondere ai bisogni emergenti coniugando logiche economiche, sociali ed ambientali promuove nuove forme organizzative secondo processi morfogenetici interpretabili in base alle categorie concettuali, a loro volta in evoluzione, dell’ibridazione. La nota introduce le chiavi di lettura ed i codici interpretativi necessari per affrontare questa problematica.
Alessandro Lai (Il viaggio del corporate reporting verso la sostenibilità) delinea le tappe dell’evoluzione che nell’arco di un decennio ha investito la reportistica in tema di sostenibilità e che troverà un momento di consolidamento e sistematizzazione in una nuova direttiva dell’UE, destinata ad innovare rispetto alla precedente Direttiva sulle non financial information. Impresa Progetto si ripromette di dedicare a questa Direttiva, nel corso del 2022, uno specifico spazio di approfondimento e di valutazione in collaborazione con l’OIBR, di cui Lai è Presidente.
La Sezione dedicata ai Contributi chiude con una lettera a Impresa Progetto di Umberto Quadrino, già top manager con importanti responsabilità nei maggiori gruppi industriali italiani, che riprende ed approfondisce alcuni temi affrontati su questa Rivista da Giorgio Donna: azionisti, CEO e manager di fronte alla “buona causa” ed alla responsabilità sociale dell’impresa. Le puntualizzazioni di Quadrino da un lato mettono a fuoco criticità ed arretratezze che hanno caratterizzato le nostre imprese e dall’altro indicano più corretti modelli di comportamento, proponendo temi per un dibattito sull’impresa cui anche l’Accademia dovrebbe partecipare aggiornando i propri modelli teorici e concettuali rispetto all’evoluzione delle realtà aziendali.
La Sezione delle Recensioni, dove troviamo quella già ricordata di Pier Maria Ferrando sul libro di Franco Debenedetti, è completata da Daria Sarti che ha letto per Impresa Progetto L’ascesa della società algoritmica ed il ruolo strategico della cultura di Luciana (Rossella) Lazzeretti (Francoangeli, 2021): un lavoro ricco di contaminazioni interdisciplinari utili per accompagnarci alla scoperta dell’evoluzione del rapporto fra cultura, società ed economia nella nuova società algoritmica. Nel libro l’Autrice racconta le origini del fenomeno e presenta una narrativa del futuro in cui cultura e territorio divengono gli antidoti ai rischi che la società algoritmica pone: possibili “ancore” a cui aggrapparsi per arginare gli eccessi della digitalizzazione.
Per la sezione dedicata agli Ospiti infine sempre Daria Sarti ha intervistato Daniela di Ciaccio e Veruscka Gennari che dal 2015 gestiscono la 2BHappy Agency, un'agenzia di consulenza organizzativa che ha l'obiettivo di diffondere il “pensiero positivo” in azienda e formare figure di Chief Happiness Officer (Dialogo sulle ’organizzazioni positive’ come nuovo modello culturale possibile). L'idea di business delle due imprenditrici affonda le proprie radici nella "scienza delle organizzazioni positive", un filone di studi che nel tempo ha visto coinvolti studiosi di comportamento organizzativo convinti che il benessere lavorativo sia una leva importante del benessere delle persone, delle aziende e della società.
Concludiamo ricordando che dalla home page del sito continua ad essere accessibile il video del webinar di giovedì 20 maggio 2021 su "I fini e la natura dell’impresa: una frontiera in divenire", organizzato da Impresa Progetto con il patrocinio del Dipartimento di Economia dell’Università di Genova ed in collaborazione con ETIClab e UCID Liguria, nel corso del quale sono state presentate alcune significative esperienze aziendali baricentrate prevalentemente ma non esclusivamente in ambito ligure, a verifica delle indicazioni emerse nello Special Issue pubblicato sul n .3/2020 della Rivista.
Buona lettura e buona visione!