La Duferco di Bruno Bolfo: “Un gruppo europeo, con presenze globali e origini italiane”

Abbiamo approfittato dell’occasione del conferimento a Bruno Bolfo della laurea ad honorem in Economia e Commercio da parte dell’Università di Genova per rivolgergli alcune domande. Bruno Bolfo inizia la carriera lavorativa in Siderexport (Gruppo Finsider), una trading company ante litteram, dopo essersi diplomato ragioniere nel 1959 all’Istituto Tecnico di Chiavari. Nel 1972, viene inviato dall’azienda a New York dove assume, quale amministratore delegato, la responsabilità della Siderius, controllata della Siderexport per i mercati americani. Nel 1978, diventa presidente di tale società. L’esperienza newyorkese è oltremodo significativa nella storia professionale di Bruno Bolfo, in termini sia di apertura sui mercati internazionali, sia di possibilità di contatto con la business community più importante del mondo. Nel 1979, lascia la Finsider ed inizia la sua avventura di imprenditore privato fondando, a San Paolo del Brasile, la Duferco che, se nasce come agente commerciale di un’impresa siderurgica locale, in breve tempo estende il servizio di trading ad altri gruppi industriali in America Latina e poi in Europa. A metà anni '90, l’attività di intermediazione della Duferco si integra con la produzione e la distribuzione. In questa prospettiva la sequenza delle acquisizioni di unità produttive sottovalutate da rilanciare è impressionante. Le acquisizioni spaziano dall’Italia al Belgio, alla Francia, alla Russia, alla Macedonia, agli USA e riguardano altiforni, acciaierie, laminatoi, tubifici, centri di servizio e distribuzione. La strategia perseguita non è casuale o episodica ma finalizzata alla realizzazione di efficaci sinergie tra trading, distribuzione e produzione, lungo tutta la filiera siderurgica. Oggi, il Gruppo Duferco è presente con le sue attività in oltre 40 Paesi; la produzione, pari a 6 milioni di tonnellate di prodotti finiti, è realizzata in una decina di Paesi; il trading complessivo di acciaio e di altre materie prime supera i 16 milioni di tonnellate, occupando complessivamente circa diecimila addetti. Il fatturato di gruppo, risultante dal bilancio chiuso al 30 settembre 2004, è pari a 6.506 milioni di dollari (5.400 milioni di euro). Nella graduatoria di Mediobanca, riferita alle grandi imprese italiane, la Duferco si collocherebbe al 12^ posto, dopo Pirelli e prima di Holding Edizioni, Riva Acciaio, Ferrovie dello Stato, Alitalia, Fininvest. Bruno Bolfo è l’artefice e l’anima di tutto ciò. “La sua formazione - come ha affermato il Prof. Lorenzo Caselli nella laudatio - è anglosassone con un po’ di salsa latina, lo stile di governo poggia sulla “fairness”, si alimenta con la reputazione e la correttezza universalmente riconosciute, si esprime attraverso il dialogo e la capacità di comprendere i valori e le esigenze di interlocutori e stakeholders”. Dott. Bolfo, prima di parlare di Duferco, cosa sta accadendo nel mondo dell’acciaio, un settore che era considerato in una crisi irreversibile e che sembra invece conoscere una seconda giovinezza? Effettivamente gli ultimi 16 mesi hanno mostrato un andamento della domanda e livelli di prezzo sconosciuti. La causa di tutto ciò, come si sa, è stata l’esplosione dei consumi cinesi, insaziabili nonostante la produzione di acciaio in quel paese cresca di 50 milioni di ton l’anno. Taluni studiosi, analizzando la magnitudo di questa crescita che non riguarda solo la Cina, ma anche l’India, il Pakistan, il Vietnam, sono giunti ad ipotizzare un vero e proprio cambiamento dei fondamentali del settore delineando una prospettiva di prezzi alti e redditività buona nel medio periodo contro una situazione passata di prezzi strutturalmente bassi e di redditività pressoché nulle. Lei non si iscrive a questo club di ottimisti? Certo non si può negare l’evidenza ed in particolare una serie di fattori certamente positivi per il settore: - l’irreversibile marcia verso lo sviluppo di centinaia di milioni di uomini e di donne che hanno bisogno di tutto (lo sviluppo cinese, in particolare, presenta un’altissima incidenza del consumo di acciaio in abitazioni, strade, ferrovie, impianti industriali ecc.); - il progressivo concentrarsi di un settore tradizionalmente frammentato e quindi povero nelle performances; - la sempre più spinta attenzione dei gruppi manageriali ai risultati e alla sostenibilità finanziaria di lungo periodo delle loro aziende e del loro business, condizionati come sono dalla pressione di azionisti privati ed istituzionali… Nonostante tutto ciò però… … nonostante tutto ciò noi siamo portati a non farci illusioni. Il settore è e resterà ciclico, afflitto com’è da profonde distorsioni cognitive dei suoi partecipanti, inclini, o forse condannati, a trasformare immediatamente i cash flow generati dalla gestione in nuovi investimenti di ampliamento della capacità produttiva e di aumento della produttività. Una specie di sindrome/coazione ad investire che produce naturalmente, sul lato dei clienti, tendenze spontanee a comportamenti speculativi (consumo apparente e ruolo delle scorte) e sul lato dell’offerta una latente over capacity, pronta a manifestarsi al primo rallentamento delle economie dei Paesi oggi principali consumatori di acciaio. In questo contesto instabile e volatile come colloca la storia di Duferco e la sua traiettoria di crescita? La storia della Duferco è per certi versi atipica e per certi versi dipendente da quella del settore siderurgico mondiale. Mi spiego meglio. E’ certamente una storia atipica riguardo alla formula imprenditoriale e alla visione che abbiamo da sempre del nostro business. Partiti come traders, poco meno di trenta anni fa, oggi siamo un “ibrido”, un insieme di attività commerciali, distributive ed industriali coordinate tra loro secondo una logica di presidio dei mercati e di servizio al cliente. I veri assets non sono gli impianti o i magazzini, ma la capacità della nostra organizzazione e della nostra gente di essere flessibile e adattiva e di intuire bisogni e tendenze un po’ prima degli altri. La cultura mercantile, che è all’origine della Duferco e che, forse, ci ritroviamo nei cromosomi, date le nostre origini geografiche oltreché professionali, ha orientato la nostra traiettoria di sviluppo e ci ha aiutato nel concepire la crescita industriale non come fine a sé stessa, ma come parte di un disegno più ampio e complesso. Se non vi fossero state le distorsioni del settore però, e qui vengo a spiegare il perché la nostra storia è perfettamente legata a quella del settore siderurgico, non si sarebbero mai create le opportunità che ci hanno consentito di riprendere impianti in giro per il mondo, a costi prossimi allo zero, che abbiamo rammodernato e rilanciato. Abbiamo cercato di capire come questi impianti potevano meglio essere connessi ai loro mercati naturali e quali spazi interstiziali si aprivano per un produttore piccolo ed efficiente in mezzo a colossi lenti e un po’ burocratici. L’idea di fondo è e resta quella secondo la quale lo sviluppo crea straordinarie opportunità di scambio tra soggetti economici, nazioni, aree del mondo; che per sfruttare queste opportunità occorre avere una cultura del dialogo e del rispetto per le culture degli altri e una capacità di insediare “fondaci” e talvolta opifici nelle varie parti del mondo. Solo così si possono comprendere e sfruttare fino in fondo i differenti vantaggi “comparati” che sono notoriamente alla base del commercio internazionale. Da questa visione discende la globalità della Duferco? A proposito, vi definite un gruppo di quale nazionalità? Globale è una parola grossa. Certamente conosciamo il mondo, o almeno quello siderurgico. Abbiamo impianti produttivi e centri di servizio in 8 diversi paesi in Europa, America, Africa; e “fondaci”, uffici commerciali in 35 paesi del mondo compresi molti paesi asiatici. Quanto alla nazionalità ci definiamo un gruppo europeo con presenze globali e con forti origini culturali e manageriali italiane. Il vostro legame con l’Italia è solo sentimentale o anche di business? Siamo nati e cresciuti fuori e lontano dall’Italia (prima in Brasile e poi negli Stati Uniti). Solo alla metà degli anni Novanta abbiamo realizzato i primi investimenti industriali nel nostro Paese. L’attività della Duferco in Italia, oggi, non rappresenta, comunque, più di un decimo del nostro fatturato e dei nostri dipendenti. Altro è se si ha riguardo per i quadri di alto livello, managers ed ingegneri, che per più del 50% sono italiani. Di ciò siamo orgogliosi, così come siamo orgogliosi di aver raccolto e valorizzato buona parte delle professionalità e delle conoscenze di grande valore che si erano accumulate nella siderurgia di Stato italiana. Da questo punto di vista, in fondo, la storia della Duferco è una bella storia di internazionalizzazione italiana o, meglio, della buona capacità degli italiani di fare impresa a livello internazionale. Ma con un fatturato di 6,7 miliardi di dollari nel 2004 e un equity che alla fine del 2005 rischia di essere superiore a 1,2 miliardi di dollari se foste un gruppo italiano sareste tra i primi 10-12 del Paese… Non siamo cultori di primati e graduatorie. L’ambizione è piuttosto quella di generare valore in maniera durevole e facendo leva sulla conoscenza e sull’intelligenza della nostra organizzazione, più che sulla potenza di impianti e di tecnologie. Vogliamo essere eccellenti nella capacità di posizionamento e di interpretazione moderna di un business che non abbiamo mai creduto essere in declino se non nella testa dei suoi protagonisti; siamo ossessionati dalla necessità di migliorare continuamente la qualità del nostro processo decisionale e organizzativo e dalla volontà di raggiungere assetti patrimoniali e finanziari capaci di farci affrontare le incognite ed i cambiamenti del futuro con ragionevole tranquillità e, comunque, con la coscienza di aver fatto tutto il possibile per avere successo. Leggi la Lectio Magistralis, tenuta presso la Facoltà di Economia dell'Università degli Studi di Genova il 28 ottobre 2004: Il declino industriale italiano: realtà e risposte (.pdf)
March 2005