L'arte dell'acciaio

Il posizionamento dell'Italia sui mercati internazionali è spesso percepito in maniera parziale, con un'attenzione che si concentra sui tipici settori del made in Italy – quali l'alimentare, il tessile-abbigliamento, l'arredo casa, la meccanica "leggera" – nostri tradizionali punti di forza. Tuttavia, il nostro Paese può vantare assolute eccellenze anche in altri settori, forse meno noti al grande pubblico ma non certo meno rilevanti. Un esempio è rappresentato, in un comparto decisamente “pesante” quale la fabbricazione di macchinari per l'industria siderurgica, dal gruppo Danieli, leader mondiale e fornitore di tutti i grandi produttori di acciaio a livello globale. Per approfondire la storia ed il modello di crescita di questo nostro campione nazionale, abbiamo intervistato l'Ing. Gianpietro Benedetti, che del gruppo Danieli è Presidente ed Amministratore Delegato. La Danieli ha quasi un secolo di vita. Quali sono state le date fondamentali di questa storia centenaria? Se vogliamo individuare un momento chiave nella storia di Danieli, questo coincide sicuramente con il 1958. In quell'anno, infatti, avviene la svolta dalle "vecchie" Officine Danieli ad un nuovo concetto di impresa. In quel periodo l'ing. Luigi Danieli, figlio del fondatore Mario, lavorava per le acciaierie Safau, ad Udine. Un giorno quell'impresa richiese ai suoi fornitori tedeschi un preventivo per una placca di raffreddamento e la richiesta dei tedeschi risultò assolutamente troppo cara. L'ing. Danieli, di fronte a questa situazione, intuì allora la possibilità di sviluppare l'attività paterna – all'epoca ancora concentrata su lavori di carpenteria – orientandola verso la produzione di macchine ed impianti per acciaierie. Si trattava, in altri termini, di passare alla produzione di manufatti a più alto valore aggiunto, sul modello delle imprese tedesche. A questa grande intuizione si accompagnò anche un po' di fortuna: proprio in quel periodo prese piede, soprattutto nel bresciano, il modello delle cosiddette miniacciaierie, che fecero la fortuna tanto delle imprese siderurgiche quanto dei loro fornitori, con Danieli in prima fila. Il gruppo fa riferimento a uno slogan suggestivo "We know the art of steel". Qual è il suo significato profondo? Quell'espressione è un esplicito richiamo alla tradizione dei vecchi acciaieri e laminatori: si trattava di "artisti", tanta era la perizia nella lavorazione. In un'epoca in cui i macchinari erano ancora quelli tradizionali e non vi era ausilio di software o algoritmi per codificare le metodologie, questi specialisti erano in grado di interpretare i fenomeni visivi legati alla lavorazione dell'acciaio con maestria, così da ottenere i risultati desiderati. Da qui l'idea di sottolineare l'importanza della professionalità, che è estrema e risulta particolarmente critica in alcuni passaggi del complesso processo di lavorazione dell'acciaio. Lo slogan, inoltre, richiama l'impressione suscitata in noi da un dipinto del Carpaccio – il "Ritratto di Cavaliere" (1510), custodito dal museo Thyssen-Bornemisza a Madrid – in cui colpisce la bellezza della corazza d'acciaio del giovane cavaliere; quel manufatto è una vera opera d'arte, così come lo sono, ad esempio, certi fucili finemente intarsiati e decorati, realizzati ancora oggi dai maestri della Val Trompia: l'acciaio diviene materia prima per una creatività artistica. Strategie di internazionalizzazione e acquisizioni sono tra loro strettamente connesse. Quali criteri hanno guidato il gruppo in questo percorso? Possiamo dividere lo sviluppo internazionale di Danieli in due fasi. La prima fase, che inizia negli anni '80, è caratterizzata da una serie di acquisizioni in Paesi quali Svezia, Germania, Francia, Stati Uniti d'America, ecc. Obiettivo di queste operazioni era acquisire marchi, tecnologia e, soprattutto, reputazione. In quell'epoca – e purtroppo in parte ancora adesso – l'Italia non godeva di una buona immagine come produttore di macchine e impianti siderurgici: non eravamo inquadrati, a livello internazionale, come validi costruttori di macchinari pesanti. Acquistando marchi prestigiosi ed affermati (ad esempio la svedese Morgardshammar, citata nei testi di metallurgia come esempio di qualità ed efficienza, o la statunitense Wean United, che ha inventato tutti i macchinari per la realizzazione di prodotti piani), Danieli riusciva a costruirsi una migliore reputazione e a superare questo pregiudizio negativo. Inoltre, il mix culturale e manageriale che ne risultava, unito da parte nostra ad una certa umiltà e volontà di migliorare, creava davvero valore per l'impresa e le dava nuovo impulso. La seconda fase, che prende il via con la fine degli anni '90, è invece incentrata sulla ricerca di nuove basi produttive e nuovi sbocchi commerciali. L'elemento trainante in questo caso è dato, rispettivamente, dai bassi costi di produzione riscontrabili in determinati Paesi e dalla forte crescita di nuovi mercati a livello mondiale. Possiamo ricomprendere in questa seconda fase la localizzazione di impianti produttivi in Thailandia e Cina, così come l'apertura di uffici tecnici in Ucraina, Polonia, Thailandia, Cina e Giappone. In questo siamo stati sicuramente molto tempestivi, poiché ci siamo attrezzati giusto in tempo per cavalcare il grande sviluppo dei nuovi mercati, quali i BRIC (Brasile, Russia, Cina ed India). Questi Paesi sono oggi tra i principali consumatori di acciaio: basti pensare che, grazie al loro contributo, la domanda mondiale di acciaio è passata, negli ultimi 15 anni, da 700 milioni di tonnellate ad 1,5 miliardi di tonnellate. Al contempo, però, i nuovi mercati rappresentano anche un'insostituibile base produttiva, grazie alla disponibilità di una manodopera qualificata ed a basso costo; una situazione molto diversa rispetto all'Italia, dove periti ed ingegneri sono sempre meno del necessario. Venendo proprio al tema della formazione, il gruppo Danieli è tradizionalmente molto attivo a livello di relazioni con il sistema scolastico e le Università. In che cosa si concretizza questo rapporto privilegiato – una sorta di "patto" – tra voi ed il sistema della formazione? Per arrivare ad una risposta su questo punto, è necessario porre alcune premesse. In primo luogo, come accennavo poc'anzi, in Italia la cultura della "fabbrica" si è progressivamente andata perdendo. Un insieme di fattori di diversa origine ha contribuito a togliere appeal al mondo del manifatturiero, connotando la fabbrica in modo negativo, quasi fosse il luogo dello sfruttamento rispetto ad altri comparti dell'economia, ritenuti molto più "moderni" e stimolanti. Lo sfaldamento della trama manifatturiera della nostra economia ha però forti implicazioni a lungo termine. Pensando solo al caso Danieli, noi oggi abbiamo circa 9.000 addetti, la metà dei quali opera fuori dall'Europa; dell'altra metà, una buona parte è in Italia, che mantiene per ora la leadership strategica del gruppo. Tuttavia, più passa il tempo più si acuisce il problema prospettico della leadership, che tende a spostarsi verso nuovi Paesi in cui vi è molta più attenzione e, quindi, formazione rispetto a questo comparto. Ma oltre ad una questione di contenuti della formazione, il problema consiste anche nel riaffermare una certa cultura dell'impegno e del merito che non sempre trova spazio nel nostro Paese. Su questo fronte, Danieli cerca di dare il suo contributo con una serie di iniziative. In primo luogo, abbiamo creato 12 anni fa la Danieli University, un centro di formazione interno rivolto ai nostri collaboratori provenienti da ogni parte del mondo, in cui vengono approfonditi i temi legati all'industrial design nel settore siderurgico. Inoltre, sono attivi da molti anni progetti di cooperazione con uno storico Istituto Tecnico Industriale di Udine, il "Malignani", uno dei tradizionali bacini da cui attingiamo per le nostre risorse umane. Il livello di questa collaborazione è molto alto: basti pensare che 10 anni fa ci hanno aiutato nello sviluppo di un impianto a riduzione diretta ad Abu Dhabi, estremamente innovativo ed ancora oggi insuperato per dimensioni; per festeggiare, abbiamo portato negli Emirati gli studenti coinvolti! Analogamente, finanziamo presso l'Ateneo di Trieste un percorso di studi sui temi dell'automazione industriale. Ancora, realizziamo ricerca congiunta con il Politecnico di Torino e con molteplici centri di ricerca universitaria in tutto il mondo, da Shangai a Pechino, da Mosca all'India. Un'ultima domanda. Quali sono le tre cose di cui lei si sente particolarmente orgoglioso? Un primo aspetto di cui possiamo tutti essere orgogliosi è senza dubbio legato alla grande innovazione che siamo stati in grado di realizzare negli ultimi decenni. Se fino al 1985 producevamo quasi solo impianti per la laminazione del tondino di ferro da cemento armato e delle billette, oggi realizziamo diverse migliaia di macchine differenti, che coprono sostanzialmente il 90% del ventaglio di macchine ed impianti per acciaio esistenti. Siamo in grado di intervenire in ogni fase del processo, dalla miniera al prodotto finito, ed i nostri macchinari producono dai piani agli acciai speciali, ai grandi profili, alle rotaie, ai tubi senza saldature per l'industria petrolifera, ecc. In alcuni segmenti, quali le cosiddette mini mills, siamo leader mondiali ed in altri campi, quali la siderurgia pesante, abbiamo raggiunto i tedeschi, una volta leader incontrastati. Secondo motivo di orgoglio – sicuramente frutto anche dello sforzo verso l'innovazione – è quello di essere sopravvissuti alla forte ondata di concentrazioni che ha interessato il nostro settore. Dieci o quindici anni fa erano presenti sul mercato almeno una quindicina di imprese significative, di cui quattro in Giappone, tre negli USA e le altre in Europa, tra Germania, Francia, Italia, Svezia. Oggi siamo rimasti in tre: Siemens Vai, SMS Demag e Danieli. A questi possiamo aggiungere un quarto player in Giappone, tuttavia molto più piccolo degli altri tre. Certo, ora si stanno affacciando sul mercato nuovi concorrenti, ad esempio i cinesi, quindi non si può pensare di aver raggiunto un risultato inattaccabile. Tuttavia, il fatto che siamo ancora qui è per noi motivo di soddisfazione e di conferma in ciò in cui crediamo. In ultimo, annovererei tra i motivi di orgoglio l'impatto sociale che Danieli ha avuto sul territorio. In passato è capitato che non fossimo particolarmente apprezzati, in ragione di un certo spirito di impegno e disciplina che ci contraddistingue da sempre. Oggi, però, siamo i soli che continuano ininterrottamente ad assumere! Siamo consci che il nostro operato può essere motore di sviluppo, stimolo alla crescita e creatore di ricchezza, sia economica sia sociale. Oggi, il 15% dell'export dell'intera regione Friuli-Venezia Giulia è generato da Danieli, con una quota nettamente più alta per ciò che riguarda la provincia di Udine. Inoltre, il nostro Gruppo è stato una vera fucina di cultura manageriale per il territorio, tanto che più della metà delle imprese friulane ospita nostri ex-manager. Nel complesso, quindi, abbiamo sempre cercato di dare il nostro contributo alla crescita del contesto sociale ed economico in cui siamo inseriti: i risultati ottenuti ci rendono fieri del nostro operato e ci stimolano a proseguire ancora lungo questo percorso.
April 2011