Vito Gulli e la sua visione concreta di sostenibilità d'impresa

Abbiamo avuto l’occasione di incontrare il Dott. Vito Gulli, manager e ora imprenditore di Generale Conserve e gli abbiamo posto alcune domande sullo sviluppo strategico dell’azienda che dirige, ma anche sul significato che il concetto di sostenibilità assume per la sua impresa.
Dott. Gulli, può illustrarci la sua esperienza come manager e poi come imprenditore nel largo consumo?
Sono diventato imprenditore, per caso.
Iniziata la mia carriera di manager nelle ricerche di mercato, che considero una formazione di base importante perché sedimenta il metodo di approccio prima delle conoscenze specifiche. Poi successive esperienze nel marketing di grandi aziende, fra le quali considero la più formativa quella nel gruppo Mars dove ho ricoperto il job di Direttore marketing della divisione pet food.
Sono successivamente approdato nel mercato del tonno, prima come Direttore commerciale e poi come Direttore generale di alcune fra le più importanti aziende del settore. Ho avuto la fortuna di costruire alcune importanti case-history che mi hanno caratterizzato come esperto del settore.
Fu per questo che, terminato il mio ultimo salvataggio, ovvero il rilancio della Palmera che avevamo portato da un “profondo rosso” ad una posizione competitiva, fui chiamato dagli allora miei soci per intraprendere l'attività in GeneraleConserve al fine di sviluppare il marchio Asdomar, fino ad allora presente in una nicchia di mercato, ma con tutte le potenzialità che vidi già allora, nel 2001.
E' stata una bella galoppata: dai poco più di 10 ai 190 milioni del 2015, da azienda soltanto distributrice ad azienda industriale con 2 stabilimenti, e soprattutto con una posizione, una filosofia ben precisa, che senza falsa modestia posso dire ha contribuito a tracciare il trend per tutto il mercato. Da una quota di minoranza iniziale ho a poco a poco acquisito la totalità del pacchetto, per poi cederne parte al mio nuovo socio operativo Adolfo Valsecchi l'anno scorso. Soprattutto per garantirne il futuro. Prima il 45% e poi il 55%, sia prima che dopo, all'interno di una chiara e condivisa visione strategica e di poteri decisionali, entrambi nella condivisa ottica condivisa di sviluppo del gruppo.
Cosa significa essere imprenditore nel nostro Paese, che sta attraversando ormai da anni una fase molto complessa, di crisi e di cambiamento? L’attrattività del nostro Paese sembra infatti ridursi sempre di più per lo svolgimento dell’attività imprenditoriale e infatti numerose aziende delocalizzano o “chiudono”. Perché voi invece vedete nell’investimento in Italia un’opportunità?
Nei vari consessi in cui mi capita di intervenire, uso sempre questo esempio per spiegare cosa sia per me un imprenditore. Prima di tutto chiarisco, usando il meccanismo dei "sinonimi e dei contrari", cosa sia il contrario di impresa ....il contrario di impresa è “una cosa facile”!! Per cui fare impresa è necessariamente fare una cosa difficile.
E poi sintetizzo così il ruolo dell'imprenditore: deve essere capace di capire, intuire, prima degli altri, dove andrà il mercato, poi correre con il "suo banchetto" là dove ha capito arriveranno i consumatori e posizionarsi nel posto più attrattivo, il migliore, per accoglierli quando arriveranno e capitalizzare la sua "intuizione".
Ma c'è un'altra caratteristica che un imprenditore deve avere (sempre se non parliamo di "affaristi" che seppur possano arricchirsi di più di un buon imprenditore, ma non si possono chiamare così): capire che se non si dà lavoro ai propri consumatori, non si sviluppa niente. Non è il caso che io ribadisca, quindi, cosa penso e sempre dico circa le imprese che delocalizzano. Credo sia chiaro che la nostra grande crisi parta da lì.
E che l'unica chance di vera ripresa riparta dalla ri-localizzazione, parola che, sempre senza false modestie, credo di aver "coniato" io quando, al contrario della tendenza in atto allora come ora, nel 2007 ho deciso di venire a produrre in Italia, pur mantenendo lo storico stabilimento portoghese acquistato pochi anni prima (passando da azienda distributrice a produttrice). Dai 12 dipendenti del 2001 agli attuali circa 600. Una grande soddisfazione tanto quanto grande è la responsabilità.
La sostenibilità sembra essere un fattore della vostra strategia d’impresa. Lo vediamo sia nella grande attenzione riservata alla sostenibilità della pesca, sia nell’impegno dedicato alla certificazione del pomodoro De Rica. Quale è il vostro concetto di sostenibilità?
La sostenibilità, parola molto ambigua ma non ce ne sono altre, non è una filosofia, un atteggiamento virtuoso o intellettuale. E' invece una delle variabili più concrete che un'impresa deve controllare, semplicemente per continuare ad esistere. Cosa sarebbe della nostra azienda se non ci preoccupassimo che il Tonno continui ad essere una specie esistente capace di rigenerarsi? Nulla! Se siamo stai i primi nel mondo ad occuparcene nel nostro settore, siamo ancor più contenti che molti altri abbiano iniziato a seguirci. E non importa se fanno poco e gridano tanto, qualcosa fanno, e a poco a poco tutto serve. Noi appariamo forse integralisti, anche perché siamo stati premiati dai veri integralisti quali Greenpeace. Ma riteniamo che il loro stimolo, seppur a volte “talebano”, sia una spinta efficace verso l'obiettivo comune accennato prima.
Noi, facciamo certificare quello che facciamo, perseguendo metodi di pesca non invasivi, pescando in mari non sovra-sfruttati, ponendo limiti alla pesca accidentale, cercando di preservare altre specie non solo "simpatiche" come i delfini, ma anche "paurose", ma utili all'ecosistema come gli squali. Ma la nostra prima regola è: solo pesci maturi, che hanno già generato, altrimenti…. Erode docet... del resto conoscete un contadino che tiri il collo alla sua ultima gallina senza avere almeno un uovo fecondato in mano? perle di vecchia, e sempre valida, saggezza!
Questo argomento ci collega al vostro impegno circa il vostro bilancio di sostenibilità. Quali sono i punti nodali della vostra CSR?
E’ vero che la parola sostenibilità è una parola ambigua e che lascia aperte troppe interpretazioni, ma nessuno può negare che la sostenibilità vada riferita prima di tutto all'umanità, alla specie umana. E allora, se avessimo un mondo puro, acqua cristallina, aria celeste, animali felici e liberi, ma un uomo che non riesce a mangiare cosa avremmo fatto? Mi scuso se appaio retorico, ma intendo dire che al primo posto metto “il sostenere l'uomo”. E l'uomo senza lavoro non mangia, e se non è un lavoro dignitoso mangia poco e soffre molto. Quindi dare lavoro deve essere al primo posto per un'azienda che si dichiari sostenibile. E per noi lo è.
Questa è la prima CSR da perseguire. Tutto il resto è noia.
Siamo in un contesto universitario e quindi una domanda la riserviamo al tema della formazione e al futuro dei giovani. Quale ruolo deve svolgere la formazione, soprattutto a livello universitario e con particolare riferimento al campo dell’economia e del management, per contribuire a creare un futuro di manager e di imprenditori in grado di sostenere lo sviluppo delle imprese italiane?
Difficile risposta, proprio perché l'insegnamento è alla base dello sviluppo sociale e culturale di una Società, di un Paese.
E' mia opinione che si debba fare quello che si dice molto e da molto tempo, ma si fa molto poco e da sempre: dare ai giovani le basi culturali teoriche, ma soprattutto inserimenti, stage nelle realtà operative affinché capiscano il prima possibile che studiare non basta e che la teoria da sola non serve a granché.
Se devo scegliere la cosa più importante da insegnare ai giovani, scelgo la lealtà, l'onesta, soprattutto quella intellettuale, quel complesso misto e complicato che oggi si usa riassumere in una parola: etica. Ma quella vera o la si ha fin da giovani o non si apprende. Quindi i primi a doverla insegnare sono i genitori e i maestri. Quell'onestà intellettuale che permette di fare scelte giuste, ma ancor più di correggere quelle sbagliate, quell'onestà intellettuale che ti permette di rinunciare ad un vantaggio economico se questo volesse dire contraddire un principio giusto.
Non voglio esagerare in "autocompiacimento", ne farci pubblicità gratuita, ma prendo un esempio molto recente che forse è utile.
E' proprio di questi giorni la notizia che abbiamo venduto il marchio Manzotin, dopo solo 3 anni dall'acquisto. Bene, va detto che è stata una scelta difficile. Infatti se al momento dell'acquisto gli obiettivi erano chiari, nel momento in cui si è capito di non poterli realizzare si è deciso di rinunciare, e di vendere il marchio a chi forse potrà fare meglio di noi.
Nello specifico il tema è stata la coerenza con il nostro approccio globale: monitorare l'intera filiera per assicurare la sostenibilità, appunto. Abbiamo capito che per noi era impossibile, un obiettivo troppo ambizioso, e ci siamo comportati di conseguenza, ritirandoci dal mercato per concentrarci nei mercati del tonno e del pomodoro, in cui riusciamo ad assicurarci che quello che vogliamo, facciamo ed affermiamo sia vero e sotto il nostro controllo.
Scelta difficile. Cosa da insegnare appunto, perché fare impresa è, come dicevo, fare una cosa difficile.
Febbraio 2016