Ruolo e prospettive della siderurgia nel mondo

Il destino della siderurgia, a livello nazionale e globale, è da tempo al centro dell'attenzione della politica, dei media e dell'opinione pubblica. Abbiamo quindi approfittato di un colloquio con Antonio Gozzi, neo-Presidente di Federacciai e Professore Associato di Economia e Gestione delle Imprese presso il Dipartimento di Economia dell'Università degli Studi di Genova, per acquisire il suo autorevole parere in proposito.
Come si pone oggi la siderurgia a livello mondiale? Quali i cambiamenti più significativi nel gioco concorrenziale?
È in atto un gigantesco rimescolamento di carte all’interno del settore siderurgico a livello mondiale con la comparsa di nuovi soggetti, la scomparsa di altri, l’imporsi di nuove regole del gioco. In particolare, dal punto di vista della generazione del valore economico si assiste ad una profonda riallocazione e redistribuzione dello stesso all’interno della filiera. Infatti la ricchezza si sta spostando poderosamente dal downstream (laminazioni, trasformazioni e finiture dell’acciaio grezzo) all’upstream (materie prime e loro primo trattamento, produzione di ghisa, produzione di acciai grezzi e semilavorati). In questo contesto i produttori siderurgici più vicini a mercati del consumo finale dell’acciaio sempre più sofisticati ed esigenti, ed in particolari quelli europei, nordamericani e giapponesi, soffrono della loro strutturale debolezza nell’upstream e hanno grande difficoltà a trasferire gli aumenti dei costi delle loro produzioni di acciai grezzi (materie prime, energia, ambiente) sui prezzi di vendita dei clienti. Tale tendenza all’indebolimento delle siderurgie tradizionalmente più concentrate nel downstream che nell’upstream, ha invertito quella in atto nei trenta anni precedenti che aveva spinto i produttori europei, americani e giapponesi a investire capitali enormi in innovazione di processo e di prodotto con le quali rispondere sempre meglio alle esigenze degli utilizzatori finali.
Ci sembra di capire che sono le siderurgie dei paesi emergenti a trarre vantaggio da questa situazione.
Certamente, nel nuovo scenario dell’economia mondiale sono favoriti i produttori di acciaio delle nuove economie emergenti per due sostanziali ragioni. La prima è che la domanda di acciaio cresce soprattutto in queste regioni del mondo per le loro fortissime dinamiche di sviluppo. La seconda è che queste economie e questi paesi godono, molto spesso, di vantaggi competitivi naturali (basso costo delle materie prime e dell’energia, basso costo del lavoro, modesti o nulli vincoli ambientali ecc.) vantaggi che le siderurgie dei paesi sviluppati non hanno più o non hanno mai avuto.
E allora l’Europa? C’è ancora posto per una industria siderurgica? A quali condizioni?
L’industria europea ha ancora un grande bisogno di acciaio. Dal comparto delle costruzioni alla meccanica, all’auto, all’oil and gas, alla stessa industria delle energie rinnovabili, sorge una domanda europea che, sia pure lontana dalle dimensioni del 2007-2008, si attesta pur sempre intorno ai 150 milioni di tonnellate/anno. Si può seriamente pensare che tale domanda sia soddisfatta solo con le importazioni? Vogliamo lasciare interi settori dell’economia continentale dipendenti dalle forniture di acciaio di mondi che stanno diventando nostri concorrenti anche nelle filiere a valle? Nessuno dotato di normale buon senso può pensare ciò! La questione di fondo, dalla quale non si può prescindere, è quella relativa a cosa voglia effettivamente fare l’Europa nei confronti della sua industria di base. Dobbiamo promuovere e suscitare questo dibattito, non dare tregua ai decisori politici sull’argomento, sollevare proposte e idee utilizzando non modelli protezionistici e dirigistici, ma richiamando tutti al rispetto delle regole di mercato simmetriche nel commercio internazionale, alla loro applicazione corretta, alla gestione intelligente ed equilibrata dei rapporti internazionali specie quando toccano settori strategici.
Ma con le emissioni di CO2 come la mettiamo?
Continuo a ritenere che sia assurdo far gravare solo sull’industrio di base europea (che rappresenta meno del 10% delle emissioni mondiali) tutto il peso economico del Protocollo di Kyoto senza alcuno reciprocità con i sistemi industriali e siderurgici di tutto il resto del mondo. Agendo sul 10% delle emissioni non si risolve in termini di riscaldamento dell’atmosfera, ma si ottiene il brillante risultato di spiazzare, forse definitivamente,la siderurgia europea rispetto al resto della concorrenza mondiale. E ciò non riguarda solo la siderurgia da altoforno e a ciclo integrale, ma anche quella da forno elettrico che paga il conto delle emissioni di CO2 attraverso il forte rincaro dell’energia elettrica la cui produzione è gravata appunto dai costi del Protocollo. Non convince neppure la decisione recente della Commissione Europea relativa all’attenuazione del cosiddetto “carbon leakage” e ciò per due ragioni: la prima è che l’attenuazione concessa è solo parziale, la seconda che il finanziamento della misura viene demandato agli Stati membri con il forte rischio, in momenti di crisi finanziaria come questi, di creare nuove distorsioni e differenze tra le varie economie industriali dell’Unione.
C’è poi la questione non certo secondaria del rottame.
Il rottame è l’unica “miniera” di materie prime per la siderurgia disponibile in Europa. È chiaro che per noi ha un valore strategico fondamentale. Ebbene, da un lato - solo recentemente - l’Unione è giunta a definire il rottame un “non-rifiuto” e quindi a semplificarne la circolazione e il riciclo; dall’altro lato nonostante le reiterate richieste nostre e di Eurofer alla Commissione per giungere a una qualche forma di protezione delle nostre “miniere” dalle incursioni di soggetti extraeuropei che vengono a fare incetta del nostro rottame, ci siamo sentiti opporre sempre ragioni di presunto fair trade, ragioni totalmente astratte perché non basate sul alcun serio principio di simmetria e di bilateralità. È clamoroso al riguardo il caso del rottame russo. La Russia dalla fine del 2011 è entrata a far parte del WTO e, giustamente, ha chiesto all’Unione di eliminare il sistema di quote che regolava gli ingressi di semilavorati e prodotti finiti russi in Europa. Peccato che nella revisione del Trattato la Commissione abbia concesso alla Russia di mantenere un dazio all’uscita del suo rottame del 15%. In altri termini si è concesso all’industria siderurgica russa, che vuole proteggere anche la sua miniera di rottame, pur essendo ricchissima di miniere di ogni altro tipo (carbone e minerale di ferro) ciò che si continua a negare all’industria siderurgica europea.
Parliamo ora del nostro Paese. Quanto è importante per noi la siderurgia?
L’Italia continua ad essere il secondo maggior produttore di acciaio fra i Paesi dell’UE, dopo la Germania. Il primo per la produzione da forno elettrico. Negli ultimi cinque anni 2007-2011 il settore ha realizzato in Italia investimenti fissi per oltre 5,5 miliardi di Euro (di cui quasi un miliardo in attività legate alla tutela dell’ambiente e alla sostenibilità di lungo periodo); dà lavoro tra diretti e indiretti a circa 70.000 persone. Tali performance si basano, per un Paese totalmente sprovvisto di materie prime e con i costi energetici tra i più alti del mondo, sull’evidente eccellenza gestionale delle imprese siderurgiche nazionali, basata non solo sull’ingentissima e continua mole di investimenti , ma anche su una straordinaria flessibilità e capacità di adattamento ai contesti di mercato e su un’efficienza che non ha eguali in Europa. l protagonisti di questa eccellenza sono certamente gli imprenditori siderurgici, ma anche tutti i loro collaboratori dagli operai, agli impiegati, ai quadri che con uno straordinario orgoglio di mestiere e con un buon esempio di coesione sociale lottano ogni giorno per mantenere competitive le loro aziende perché sanno che dalla salute delle stesse dipende il benessere loro e delle loro famiglie.
La tematica ambientale è oggi drammaticamente all’ordine del giorno. Come vi ponete di fronte a questa questione?
Con riferimento a questo aspetto, certamente cruciale, vorrei sottolineare lo sforzo ingente dell’industria siderurgica italiana che, senza alcun aiuto da parte dello Stato, ha trasformato in pochi anni l’impatto ambientale del settore rendendo molte sue imprese esempi per il mondo intero. Al riguardo ritengo importante richiamare “i numeri verdi della siderurgia italiana”.
Quasi il 15% del totale degli investimenti annuali in siderurgia è dedicato a interventi di carattere ambientale. Nel solo 2008 tali investimenti hanno superato i 200 milioni di Euro e si sono mantenuti sopra i 150 nel 2009-2010, anni di grande.
Il 100% degli impianti siderurgici italiani adotta le migliori tecniche disponibili (BAT) per la prevenzione e controllo integrati dell’inquinamento.
Oltre il 70% della produzione nazionale di acciaio viene realizzato in impianti dotati di sistemi volontari di gestione ambientale certificati ISO 1400.
L’acciaio è il materiale più riciclabile e riciclato al mondo. L’Italia è il primo Paese europeo per riciclo di materiale ferroso, con una media di circa 20 milioni di tonnellate annue di materiale che viene rifuso nelle acciaierie nazionali.
Circa il 70% di tutti i rifiuti generati dai processi siderurgici sono avviati a recupero per ricavarne nuove materie prime o prodotti (il l00% della loppa di altoforno, il 75% della scoria di forno elettrico, il 90% delle polveri dei fumi delle acciaierie);
La siderurgia italiana ha ridotto di oltre il 40% le proprie emissioni specifiche di CO2 a partire dal 1990. Inoltre, negli ultimi 5 anni ha ridotto di circa il 40% le proprie emissioni di polveri in atmosfera.
I consumi specifici di acqua per usi industriali delle acciaierie italiane si sono complessivamente ridotti del 14% dal 2005 a oggi. I consumi energetici per tonnellate di acciaio prodotto in Italia si sono a loro volta ridotti di circa il 20% dal 1990 ad oggi.
Cosa chiede al Governo la siderurgia italiana?
In primo luogo chiediamo al Governo di fare ogni cosa possibile per contribuire ad una politica di crescita e di sviluppo. L’acciaio è un indicatore di ciclo e il suo consumo dipende, inscindibilmente, dalla salute e dal tono dell’economia generale. Circa il 40% del consumo totale di acciaio è legato alla domanda del settore delle costruzioni. Una stasi prolungata di questo settore e di quello della realizzazione di infrastrutture causerebbe gravissimi danni anche a quello della siderurgia. Ogni intervento che favorisca il settore delle costruzioni è sicuramente un intervento assai positivo per il comparto della produzione di acciaio. Salutiamo perciò con assoluto favore il Piano recentemente annunciato dal Ministro Passera per lo sblocco di fondi pubblici destinati alle grandi opere.
La secondo cosa che chiediamo al Governo è che rappresenti a livello europeo le esigenze di un grande Paese industriale come l’Italia e che sia protagonista di una battaglia per il futuro dei settori manifatturieri nel continente ed in particolare dei settori di base a cui apparteniamo. Gli chiediamo di avere il coraggio di contrastare in Italia e in Europa un pensiero unico declinista e l’orgoglio di difendere e promuovere lo straordinario potenziale industriale nazionale senza il quale questo Paese rischia di non avere futuro.
a cura di Roberta Scarsi
Gennaio 2013