Turismo: tra l'ottimismo forzato e la realtà dei fatti

Harald Pechlaner è professore ordinario di Turismo presso l'Università Cattolica di Eichstaett-Ingolstadt (Germania) e Direttore scientifico dell'Istituto per lo Sviluppo Regionale e il Management del Territorio dell'Accademia Europea di Bolzano (EURAC research).
E' membro della presidenza dell'ICRET (International Center of Research and Education in Tourism) e socio della presidenza dell'AIEST (Association International d'Experts Scientifiques du Tourisme). E' inoltre docente presso l'Università di Roma "Tor Vergata" e autore di numerose opere sul tema.
Introduciamo il tema del turismo internazionale e del suo “stato di salute”. I dati sulla domanda turistica internazionale mostrano un sostanziale rallentamento della crescita e dell’ottimismo, ma la World Tourism Organization propone per il prossimo ventennio uno scenario di continua ed interessante crescita. Per l’Europa, regione considerata ormai matura per il turismo leisure, si prevedono tassi di crescita sensibilmente più deboli e quote di mercato in diminuzione. Come valuta questi dati? Rispecchiano davvero la situazione? E come si colloca l’Italia, ormai stabilmente quarta o quinta nazione per arrivi turistici ma con un peso sul totale in costante diminuzione?
La domanda turistica mondiale continuerà a crescere in particolar modo nei paesi turistici emergenti, le cosiddette destinazioni a recente vocazione turistica, nelle quali l’attività turistica rappresenterà uno dei pilastri fondamentali del sistema economico. La domanda turistica non è tuttavia illimitata e i paesi a tradizionale vocazione turistica, in prima fila quelli europei, subiranno, secondo le previsioni del WTO, flessioni degli arrivi perdendo importanti quote di mercato.
Uno dei fattori che mette a serio rischio le classiche destinazioni turistiche è l’attrattività della destinazione stessa. Nel mondo stanno nascendo nuove destinazioni. Quando si inizia a creare una destinazione da zero si hanno tutte le possibilità di poterla plasmare in modo tale da garantirne la più alta flessibilità e professionalità gestionale. Si pensi semplicemente ai numerosi resort turistici in fase di realizzazione in giro per il mondo. Per quanto riguarda l’area dell’arco alpino, ormai da almeno due decenni regione turistica matura, sarebbe utile osservare cosa sta accadendo in Asia, più precisamente in Cina. Nel nord del Paese si sta investendo fortemente nella creazione di resort sciistici. La destinazione sciistica viene creata da zero, dall’investimento immobiliare alla costruzione di impianti di risalita fino ai sistemi e alle infrastrutture di accesso alle neonate aree sciistiche. Questa è chiaramente un’offerta che porterà ad una deviazione della domanda di turismo invernale.
Il turismo tradizionale europeo come reagisce alla diminuzione dei flussi turistici? Non solo sembra che non sia in grado di crescere, ma non riesca nemmeno a seguire ciò che il resto del mondo turistico internazionale sta attuando. Seguire il passo della concorrenza non significa gestire modelli di destinazione allo stesso modo, viste le peculiarità delle singole realtà, bensì essere almeno in grado di gestire professionalmente ciò di cui un territorio dispone. Le destinazioni del nostro continente sono state create in modo tradizionale, sul territorio era presente innanzitutto la popolazione e solo successivamente nasceva la destinazione turistica. Oggigiorno i territori emergenti pianificano prima le attività turistiche e solo in secondo luogo avviene l’insediamento.
Cosa deve fare quindi l’Europa? Differenziarsi e aumentare la qualità. Per qualità non intendo esclusivamente quella di prodotti e servizi, ma in particolar modo la qualità del networking. In Italia, dobbiamo sviluppare e aumentare ulteriormente la nostra abilità nel fare network, ed è proprio questa una delle nostre più grandi sfide. È necessario inserire in rete quanto risulta essere importante per un ospite determinato ad usufruire di servizi e prodotti nell’ambito di un contesto geografico. Qualità e differenziazione rappresentano sicuramente delle possibili chance.
Da sempre l’Italia è (o pensa di essere) una delle mete principali del turismo internazionale. Ma i dati di afflussi e presenze non sono certo entusiasmanti. Come si spiega la caduta di competitività dell’Italia come meta turistica?
Purtroppo l’Italia ha vissuto per troppi anni di rendita. Principalmente negli anni 60 e 70 il nostro paese è stato il leader turistico indiscusso dell’Europa Meridionale, leadership attualmente detenuta dalla Spagna. Secondo il World Tourism Barometer (giugno 2005), l’Italia rientra nei primi 10 paesi del mondo per arrivi internazionali, ed è l’unico con una variazione negativa tra 2004 e 2003 (-6,4%).
Tornando alla Spagna e al suo predominio turistico rispetto al nostro paese, ci si chiede il perché della nostra perdita di competitività. Il paese iberico è stato “semplicemente” in grado di gestire i flussi di turismo internazionali, di allinearsi a modelli mondiali con specifico riferimento a grandi tour operator, ma anche ai modelli di destination management di questi ultimi. Gli spagnoli si sono adoperati nella costruzione di varie infrastrutture, come aeroporti, facendo registrare nel 2005 performance migliori rispetto all’Italia per quanto riguarda gli arrivi in aereo.
In Spagna sono inoltre ben presenti i grandi tour operator, non solo su isole e coste ma anche nell’entroterra. Altro ambito nel quale l’Italia non è mai particolarmente riuscita. Il nostro Paese presenta, infatti, una realtà di tour operator molto frammentata. Abbiamo migliaia di piccoli tour operator laddove in altre nazioni sono presenti solo pochi conglomerati. Ciò presenta naturalmente degli svantaggi, basti pensare al potenziale non sfruttato dei flussi turistici internazionali.
Altro fattore che spiega la caduta di competitività dell’Italia è il mancato sviluppo di un turismo legato al territorio. È noto e indiscutibile che la nostra penisola sia la miniera culturale più grande al mondo ed è altrettanto lampante come le sue reali potenzialità, in particolare quelle riferite a punti d’attrazione minori (secondo e terzo livello), non siano ancora state veramente valorizzate e sfruttate.
La politica turistica italiana è sempre stata molto orientata, passatemi il termine, ai mega punti d’attrazione a tutti noti (Roma, Venezia, Firenze, etc.), mentre non è stata curata l’accessibilità ai punti d’attrazione secondari. In Italia esistono meraviglie sconosciute e non valorizzate. Turisti stranieri, ma anche gli stessi italiani, sono a conoscenza principalmente delle attrazioni di primo livello.
L’accessibilità in Italia non ha mai veramente funzionato, in senso stretto per quanto riguarda sistemi di trasporto e raggiungibilità di destinazioni e attrazioni con specifico riferimento all’entroterra, in senso ampio riferito all’accessibilità ai punti di attrazione turistica (naturali, culturali, architettonici, etc.).
Che ruolo hanno i grandi gruppi internazionali sorti, ad esempio, dalla tendenza alla concentrazione dei tour operator, dalla crescita dei gruppi alberghieri multicatena o dai grandi gruppi diversificati che comprendono business trasportistici, ricettivi, ecc.? Qual è la loro influenza sui flussi del turismo leisure verso le aree a più recente vocazione turistica?
I tour operator italiani di piccole dimensioni sono adeguati per il turismo domestico e internazionale, ma non per quello globale. L’Italia ha sempre avuto, a mio avviso, una particolare propensione per lo sviluppo del turismo domestico rispetto a quello internazionale. Grandi imprese come tour operator, gruppi alberghieri, etc. altro non hanno fatto che sostenere la crescita del turismo internazionale e questo è stato ben compreso dalle destinazioni turistiche emergenti e dagli Stati nostri vicini.
Desidero aggiungere una cosa molto importante, ciò che ha penalizzato molto il sistema turistico italiano è stata la mancata capacità di mettere in rete i diversi livelli di destinazione turistica. In Italia la legge quadro sul turismo (L. 29 marzo 2001 n.135), ha finalmente previsto che tra le varie regioni sia anche possibile formare delle cooperazioni transregionali tra più destinazioni. È stato decisamente un passo avanti, peccato però che in numerosi altri stati ciò sia avvenuto ormai da decenni.
“Turismi” e ricerca di “nicchie di mercato” sono spesso proposte come possibile risposta al declino delle località a turismo più maturo. Possono essere la “risposta” e se sì a quali condizioni, o sono solo un palliativo contro il declino?
La strategia delle nicchie di mercato può certamente essere un’interessante strategia che tuttavia da sola non paga. Dal punto di vista strategico sarebbe utile tener conto di tutte e tre le strategie generiche di Porter: leadership di costo, differenziazione e focalizzazione. La prima risulta essere importante soprattutto a livello internazionale, si pensi ai nuovi business model del turismo internazionale, come ad esempio la strategia low-cost o la verticalizzazione tra compagnie aeree e tour operator. L’adozione di una simile strategia riporta al discorso fatto precedentemente relativamente all’accessibilità di destinazioni e attrazioni turistiche.
È necessario decostruire la tradizionale catena del valore per ricostruirla e rinnovarla seguendo nuovi business models internazionali.
La strategia di differenziazione, in particolar modo riferita a modelli legati al territorio, deve necessariamente essere adottata, soprattutto per un Paese come l’Italia ricco di peculiarità culturali. Autenticità, originalità, unicità e qualità sono la sintesi della linea strategica e degli aspetti da seguire.
Adottare come unica strategia quella della focalizzazione, in riferimento a un modello di crescita basato sulla concentrazione su un unico settore, non si rivelerebbe una soluzione di successo, è necessario invece individuare una strategia principale, senza però fare a meno di implementare le altre.
Si parla tanto di “destination management”. Di cosa si tratta? Quali sono le condizioni per una sua adozione efficace nel frammentato contesto italiano di operatori pubblici e imprese turistiche scarsamente orientate ad un’ottica di sistema e di dimensioni mediamente troppo piccole?
Le reali unità concorrenziali in ambito turistico sono le destinazioni. Esse sono spazi geografici, in cui l’ospite trova tutte quelle prestazioni che ritiene necessarie per il suo soggiorno. Questi spazi geografici cambiano a seconda del segmento degli ospiti. Più è lontano il luogo di residenza dell’ospite e più è ampia la destinazione; più specifico è l’interesse dell’ospite potenziale e più ristretta è la destinazione. Questo comporta una sovrapposizione delle destinazioni e del marketing delle diverse destinazioni.
Ciò significa definire chiaramente con quali prodotti e servizi essere presenti sui vari mercati.
Per essere competitiva, la destinazione deve essere organizzata in modo tale che integrazione e cooperazione tra servizi, prodotti e livelli geografici siano il punto di forza.
Tengo nuovamente a sottolineare come la qualità del networking sia fondamentale e necessaria, come già detto, senza di essa imprese private ed operatori pubblici non sono in grado di sopravvivere e mantenere la posizione competitiva internazionale attualmente detenuta.
In Italia il settore turistico è inoltre sempre stato troppo politicizzato. Gli stati capaci di diminuire sensibilmente l’influenza e dipendenza politica nel settore turistico hanno assistito ad un rapido sviluppo.
Destination management significa anche introdurre modelli di resort management, si pensi a paesi in via di sviluppo dell’Europa Centrale come Repubblica Ceca, Slovacchia, Polonia e addirittura Romania e Bulgaria. In queste aree si sta procedendo alla costruzione di grandi resort turistici e penso valga veramente la pena riflettere se non sia davvero giunto il momento anche per noi italiani di seguire questo trend. Ripeto, è necessario garantire sempre peculiarità quali autenticità, originalità, unicità e qualità, per riuscire a mantenere l’eccezionalità del nostro territorio dal punto di vista culturale, sociale e naturalistico.
In Italia abbiamo un’infinità di risorse turistiche non adeguatamente valorizzate, laddove in altri stati le risorse vengono inventate quasi dal nulla, riuscendo a sviluppare prodotti di successo. La competenza fondamentale della nostra penisola è l’unicità dei territori.
Altro fattore necessario all’industria turistica è l’innovazione. Innovazione riferita a processi, cultura dell’ospitalità, business models, distretti turistici, tipologie di promozione; il tutto capace di convogliare il turismo ad un’industria di qualità. Inoltre in una realtà economica in cui i confini tra industrie e settori sono sempre meno marcati, è necessario apprendere competenze specifiche sviluppate in contesti settoriali diversi.
È importante sviluppare capacità per muoversi da un settore all’altro delle varie industrie, la così detta migrazione settoriale. Sempre più sono le aziende non turistiche che fanno ingresso con successo nel mondo turistico (si veda l’esempio di Expedia, nata non dal settore turistico, bensì da quello informatico capace di apportare nel turismo importanti modelli innovativi).
Ottobre 2006