Percorsi e prospettive della CSR nelle imprese: il punto di vista di Samsung

Abbiamo incontrato Anastasia Buda ‘virtualmente’. Anastasia lavora dal 2008 in Samsung, inizialmente nell’area Marketing della divisione Business. Dal 2015 ha assunto il ruolo di Corporate Citizenship Manager. Prima di Samsung ha lavorato per una multinazionale tedesca con il ruolo di Responsabile Marketing.
Tanti i progetti di responsabilità sociale che ha portato avanti in Samsung fino ad oggi, fra i quali si menzionano LetsAPP e Innovation Camp sul tema delle competenze Digitali, la campagna Off4aDay per sensibilizzare i giovani sul tema del Cyberbullismo, Womenruntheshow, un progetto in collaborazione con il Telefono Rosa, volto ad aiutare le donne vittime di violenza domestica e reinserirsi nel mondo del lavoro.
Facendo riferimento alla sua esperienza nella funzione della CSR, non solo in Samsung, le abbiamo rivolto alcune domande sul ruolo della CSR in azienda, sul ruolo che lei ricopre e sul ruolo della funzione nell’attuale scenario caratterizzato dall’emergenza economica, sociale e sanitaria da Covid-19.
Anastasia, alla luce della tua esperienza, perché grandi aziende come Samsung decidono di investire nella creazione di un’area dedicata alla responsabilità sociale d’Impresa?
Essere una multinazionale che produce e vende da oltre trent’anni prodotti che vanno dagli smartphone, alle lavatrici, ai televisori significa non solo entrare nelle case di milioni di persone. Significa anche avere un impatto nella società. Esattamente come per qualsiasi persona fisica i nostri comportamenti, più o meno virtuosi, hanno degli impatti nella comunità all’interno della quale viviamo. Più siamo “grandi”, maggiore è l’impatto che abbiamo nella società e maggiore è il senso di responsabilità che deve guidare le nostre scelte. E’ questo senso di responsabilità che spinge le aziende ad investire in responsabilità sociale. Ovviamente, le aziende non la fanno solo per puro spirito etico, ma anche perché il loro comportamento, più o meno virtuoso viene “osservato” e “giudicato” dagli altri. Gli altri sono le istituzioni, i media, gli investitori (qualora l’azienda sia quotata in borsa), i dipendenti, ma soprattutto gli altri sono anche i consumatori. Il consumatore è sempre più attento: osserva, s’informa, non si lascia più “affascinare” dalla marca. E’ pronto a cambiare le proprie scelte di acquisto se viene “tradito” dalla marca. Se l’azienda non agisce in maniera virtuosa e attenta alla comunità all’interno della quale opera, rischia danni, talvolta irreparabili, alla propria reputazione.
Quella del responsabile CSR è una figura che sta assumendo un grande valore strategico per le aziende e che opera da trait d’union fra le diverse funzioni aziendali e, al contempo, gioca un ruolo sostanziale nella relazione fra l’azienda e il suo ambiente di riferimento. Quali elementi la caratterizzano maggiormente oggi, sulla base della tua esperienza?
In linea generale, il professionista che si occupa di responsabilità sociale in azienda viene collocato ai vertici della struttura organizzativa, spesso a riporto della direzione generale. Deve avere grandi capacità relazionali, in quanto il ruolo esige un dialogo puntuale sia con le funzioni interne all’azienda sia con stakeholder esterni, del mondo delle istituzioni centrali e locali. Accade sovente che il responsabile CSR sia anche il responsabile delle relazioni esterne dell’azienda o il responsabile della comunicazione Corporate. Chi ha un profilo più Marketing, ha sicuramente un’attitudine più spiccata verso i temi della comunicazione e del brand, ma deve porre attenzione all’autenticità e concretezza che devono contraddistinguere i progetti sociali, prestando attenzione a non scadere nel “social marketing”. Parallelamente, chi proviene dall’HR ha sicuramente una visione completa dell’ecosistema dell’azienda e sa bene come dialogare con i dipendenti. Ricordiamo che anche i dipendenti rappresentano uno stakeholder importante per il responsabile CSR. Da un lato, il dipendente rappresenta l’azienda all’esterno ed è importante conosca, comunichi e faccia sua la mission dell’azienda in termini di responsabilità sociale. Dall’altro lato, è confermato come i dipendenti siano orgogliosi di lavorare per aziende che contribuiscono al bene della comunità e quanto questa leva influisca sulla “fidelizzazione” e sul “commitment” del dipendente nel medio-lungo termine.
Dove si posiziona questo profilo in azienda e, soprattutto, quali dinamiche si trova a gestire?
Ad oggi possiamo parlare di un profilo strategico che appunto si posiziona ad un livello alto all’interno dell’azienda o comunque a diretto riporto del Top Management, per ovvi motivi anche legati all’immagine della stessa. Aggiungo, in merito, che questa figura deve avere una profonda conoscenza della mission e della vision dell’azienda perché una strategia di responsabilità sociale efficace è una strategia capace di tradurre in azioni sociali concrete quella che è la visione dell’azienda e non un corpo “estraneo” sposizionato rispetto alla filosofia dell’azienda.
A questo si lega la complessità degli equilibri che il profilo è chiamato a gestire, poiché si vanno a toccare ambiti decisionali e di operatività ben distinti in cui si devono mantenere decisioni, strategie e linee guida coerenti rispetto alla vision aziendale, ma indipendenti rispetto alle dinamiche commerciali, per cui: le scelte delle azioni di responsabilità sociale da intraprendere devono essere completamente indipendenti rispetto alle strategie commerciali.
Chi sono i principali interlocutori della tua posizione dentro e fuori dall’azienda?
Direi che internamente abbiamo alcuni interlocutori veramente tutti molto importanti rispetto alla funzione responsabilità sociale. Ad esempio il team di Ricerca e Sviluppo ci aiuta a comprendere le evoluzioni tecnologiche dell’azienda e come queste possano essere tradotte in un beneficio percepito per categorie particolarmente bisognose della società. L’interazione continua con il team Ricerca e Sviluppo è particolarmente importante per un’azienda che, come la nostra, fa tecnologia e innovazione. In particolare ci aiuta a comprendere come quella stessa innovazione che produciamo per i nostri consumatori possa essere utile anche alla comunità magari trasformando una “feature” di un prodotto in un beneficio che possa essere di aiuto per categorie particolarmente sensibili, pensiamo ad esempio a persone con disabilità. La tecnologia deve diventare sempre di più inclusiva. Il nostro team Ricerca e Sviluppo entra in campo anche per altri progetti come quello di Innovation Camp, il nostro progetto di responsabilità sociale volto alla diffusione delle competenze digitali a favore degli studenti universitari, supportandoci a trasferire specifiche conoscenze a studenti, che saranno loro utili nell’ottica di un futuro ingresso nel mondo del lavoro, mondo sempre più guidato dalla tecnologia, una realtà dove avere competenze “digitali”, rappresenta una sorta di prerequisito fondamentale, qualsiasi sia il lavoro che questi giovani andranno a svolgere.
Anche il team di PR è un nostro interlocutore interno importante con cui abbiamo un costante dialogo volto a comunicare correttamente l’impegno dell’azienda nel sociale, adottando un Tone of Voice che non sia mai troppo autoreferenziale, né sopra le righe. Come funzione aziendale abbiamo poi intensi scambi con il team dell’HR, al quale tra l’altro la funzione di responsabilità sociale riporta, per comunicare correttamente ai dipendenti, che sono una nostra leva importantissima, i nostri progetti sociali, per coinvolgerli nelle nostre iniziative, anche in qualità di mentore o di volontari. Ovviamente e come già più volte richiamato il rapporto con il Top Management, che definisce la strategia aziendale trasferita a cascata su tutte le aree, è imprescindibile. In ultimo, ma non ultima, la relazione con la funzione Public Affairs ci consente di favorire un corretto ingaggio e la collaborazione delle istituzioni esterne, quali appunto, ad esempio, i vari Ministeri che abbiamo coinvolto in alcuni progetti sociali. Cito in proposito l’esempio del Ministero dell’Istruzione con cui cooperiamo per progetti nell’ambito educational come LetsAPP, progetto rivolto alle scuole secondarie di secondo grado incentrato sul tema delle STEM e delle competenze trasversali; e “Crescere cittadini digitali”, un progetto appena lanciato, che ha l’obiettivo di supportare studenti, insegnanti e genitori in un utilizzo corretto, sicuro, rispettoso dell’altro e sostenibile della tecnologia; i Comuni con cui spesso lavoriamo per attività di volontariato che hanno un impatto sulla comunità locale o, infine, le Università con cui lavoriamo alla employability degli studenti mediante progetti come Innovation Camp.
Sulla base della tua esperienza nel campo e sulla base dei “confronti” che hai avuto modo di fare con altre realtà di impresa, come viene implementata nelle aziende la Responsabilità Sociale?
L’approccio che un po’ osserviamo in tante aziende è che molte fanno responsabilità sociale senza una strategia a medio lungo termine, quindi in ottica funzionale piuttosto che strategica.
A mio parere, bisogna distinguere tra chi fa responsabilità sociale e chi fa donazioni e volontariato in maniera “spot”. La responsabilità sociale implica la definizione di un piano di medio e lungo termine, con una visione almeno a cinque anni, e ogni azione deve essere coerente con la vision dell’azienda.
Assistiamo spesso ad azioni di responsabilità sociale, che risultano “scollate” rispetto a questa vision: vedi ad esempio sponsorizzazioni di cause benefiche non “vicine” alla mission dell’azienda, investimenti che cambiano di anno in anno, senza una visione a lungo termine.
Durante i mesi di lock-down, abbiamo ad esempio osservato come tantissime aziende si siano attivate in azioni benefiche, certamente sfruttando anche la maggiore attenzione mediatica su questi temi.
Sicuramente, questa maggiore attenzione è un dato positivo. Ma cosa accade quando queste azioni si “spengono”? Un reale impatto sulla società si può ottenere solo nel medio e lungo periodo e non con azioni frammentarie. Il KPI di queste azioni non può essere la visibilità mediatica o il numero di articoli sui giornali. Senza dimenticare poi che un impegno non costante e in un certo senso superficiale può essere in certi casi addirittura controproducente, con rischi reputazionali anche importanti.
Qual è oggi la sensibilità che vedi rispetto ai temi della CSR in Italia e nel mondo?
In generale la sensibilità rispetto al tema sta crescendo. Da una piccola panoramica sulle aziende che abbiamo fatto durante il contesto pandemico, includendo anche le aziende che non hanno un team di responsabilità sociale, abbiamo visto che molte si sono progressivamente avvicinate a questi temi.
Dall’altro lato abbiamo notato un cambiamento nel consumatore sempre più attento a queste tematiche. Ad esempio noi abbiamo dei dati sulla brand reputation raccolti da Interbrand, che stila una classifica dei brand più apprezzati e più riconosciuti dal pubblico a livello internazionale, che ci dicono che tra le leve che hanno inciso tantissimo quest’anno ci sono proprio il comportamento e le azioni di responsabilità sociale delle aziende. Stiamo notando infatti come il consumatore sia sempre più attento e consapevole rispetto ai comportamenti dei brand. Non recepisce più passivamente le informazioni. S’informa autonomamente (attraverso i social; attraverso il proprio network di amici) ed è pronto ad abbandonare la marca quando rimane deluso, anche per comportamenti non coerenti con la “promessa di brand”. Soprattutto i giovani, che nascono in un’epoca di grande incertezza, consci dell’urgenza di certi temi come il tema ambientale. Apprezzano le aziende che hanno il coraggio di prendere una posizione, di “entrare in campo”, anche esponendosi platealmente rispetto a temi rilevanti. Mi piace citare un esempio internazionale. Patagonia, brand americano specializzato in abbigliamento sportivo e da esterni. Patagonia è non a caso riconosciuta come una delle aziende più socialmente responsabili al mondo, non solo perché intrepreta il suo impegno per la tutela dell’ambiente, come aspetto fondante della sua strategia di Business. Patagonia è un’azienda che negli anni ha avuto il coraggio di prendere posizioni forti: ad esempio attaccando pubblicamente il governo, precedentemente in carica, per alcune decisioni che andavo contro la tutela dell’ambiente (vedi ad esempio la forte riduzione della superficie di aree protette negli USA, lasciate quindi alla mercé dello sfruttamento minerario, della ricerca di idrocarburi e dell’edilizia).
Cosa significa, per te, fare CSR in una multinazionale?
Al momento ti posso dire cosa significa lavorare in una multinazionale sud-coreana…. Per me, ti confesso, ha solo aspetti positivi. Ho sempre avuto la fortuna di lavorare in contesti internazionali; prima di Samsung ho lavorato in una multinazionale tedesca. Il contesto internazionale ti porta a vivere molto la dimensione sociologica dell’azienda. Nella realtà che vivo tutti i giorni ad esempio è interessante confrontarsi con l'etica del lavoro che hanno i coreani e vedere come per un coreano appartenere a questa azienda sia grande motivo di orgoglio. Per loro non stiamo parlando di un posto di lavoro come un altro, ma di far parte di una azienda che rappresenta il 17% del prodotto interno lordo del loro paese, per questo direi che per loro fare questo lavoro diventa qualcosa che ha anche a che fare con l’orgoglio nazionale. In più è importantissimo il fatto che in questa realtà si ricerchi un dialogo continuo tra il management italiano e quello coreano e questo comporta l’applicare soft skills e competenze relazionali per impostare modalità di dialogo virtuoso con i tuoi interlocutori interni. Questo è sicuramente un aspetto importantissimo nel mio lavoro. Al contempo è estremamente rilevante nella prospettiva del mio ruolo trasferire le istanze del nostro paese in termini di responsabilità sociale, far percepire a loro quali sono le urgenze, quali sono le dinamiche di un paese culturalmente e geograficamente molto distante dalla Corea del Sud.
Cosa ha voluto dire, per una grande impresa, “fare” CSR in periodo di COVID?
È stata una grande opportunità, ma anche una grande responsabilità.
È per certi versi frustrante, osservare quanti e quali problemi la comunità si trovi a dover fronteggiare. Vorresti poter fare di più, ti basta leggere i giornali o semplicemente scendere per strada per comprendere quanta sofferenza ci sia. Questo ti fa sentire da un lato “piccolo”, quasi “inutile” di fronte alle sofferenze del mondo, dall’altro lato ti sprona ad attivarti immediatamente per fare nel tuo piccolo qualcosa.
Fare CSR in tempo di Covid ha richiesto prima di tutto, stravolgere totalmente i nostri piani, ridefinire le urgenze e le priorità. Ha significato mettere in piedi azioni immediate, che fossero di reale risposta alle urgenze del sistema paese. Ha significato mostrare vicinanza ai nostri interlocutori principali, in primis le scuole, che prima di passare alla DAD, sono passate attraverso l’interruzione improvvisa della attività didattiche, al quale si lega il grande tema dell’isolamento e della perdita di socialità. Ha significato anche cercare di costruire un dialogo con i nostri dipendenti, facendo sentire loro la vicinanza dell’azienda a loro e alle loro famiglie.
Durante il periodo di Lock-down Samsung ha attivato una serie di attività per far sentire la propria vicinanza agli studenti, agli insegnanti e ai cittadini. Lo ha fatto ad esempio con il progetto SmartLearning attraverso l’attivazione straordinaria di due progetti, Mentoring by Samsung e Design Thinking, che hanno coinvolto oltre 4.000 studenti su tutto il territorio nazionale. Grazie a Mentoring by Samsung i giovani si sono potuti confrontare con i dipendenti Millennial di Samsung. Grazie a sessioni di formazione a distanza di due ore hanno potuto ascoltare i loro suggerimenti ed esperienze utili ad orientare al meglio il proprio percorso di studi e di lavoro nel futuro. Con Design Thinking è stata sviluppata un’attività didattica orientata a sviluppare negli studenti la loro attitudine creativa e la capacità di risolvere problemi, incoraggiandoli ad elaborare, grazie anche alla tecnologia, idee e soluzioni che affrontino questioni sociali. Confrontandosi con le principali problematiche dell’esperienza “a distanza” sono stati guidati attraverso strumenti di problem-solving verso l’ideazione di soluzioni innovative. Sul fronte del supporto alla docenza in un momento così difficile Samsung ha deciso di lanciare anche una guida al distance learning rivolta a ogni scuola: il Smart Learning Kit. Si tratta di uno strumento per la gestione della didattica a distanza, distribuito nel mese di aprile ad oltre 60.000 docenti, di ogni ordine e grado, in tutta Italia. Il kit è completo di sezioni dedicate alle varie fasi e attività di apprendimento da remoto. La guida è orientata a supportare i docenti nel trovare una modalità alternativa per fare didattica, favorendo la socialità degli studenti, e include anche un capitolo interamente dedicato alla gestione delle attività di smart learning per i bambini più piccoli. Infine, nel periodo estivo 2020 è stato lanciato il Summer Camp: un laboratorio didattico dedicato a tutti i bambini tra gli 8 e i 10 anni, e pensato per offrire ai giovani studenti la possibilità di continuare a ritrovarsi, a condividere e a imparare giocando anche dopo la fine dell’anno scolastico. L’iniziativa si articola in classi virtuali di circa 2 ore durante tre giorni della settimana con lezioni, che possono essere seguite da casa o all’aria aperta in un parco della propria città. Si tratta di “lezioni” di propedeutica musicale, laboratori ludico/creativi e attività di psicomotricità tenute da educatori esperti. Infine, il sostegno al progetto lanciato in pieno lock-down dal Comune di Milano per il sostegno attivo alla cittadinanza milanese in difficoltà per l’emergenza Coronavirus: il Samsung per Milano aiuta. Mettendo a disposizione le proprie competenze tecnologiche a supporto dei cittadini over 65. Contattando il numero telefonico messo a loro disposizione dal Comune per illustrare tutti i servizi loro dedicati, i cittadini milanesi hanno potuto anche parlare con uno degli oltre 130 digital angel di Samsung che hanno fornito consigli tecnici e suggerimenti su come mettersi in contatto con i propri famigliari e cari attraverso la tecnologia (come ad esempio, istruzioni su come attivare le videochiamate su Skype, Whatsapp etc.). Per svolgere al meglio questa delicata mansione per il servizio “Milano Aiuta”, i digital angel di Samsung sono stati formati attraverso un corso dedicato alla migliore gestione delle telefonate, non solo per fornire assistenza e formazione sulla tecnologia, ma anche per “tenere compagnia” agli anziani milanesi durante questo periodo di isolamento forzato.
Nel periodo pandemico che abbiamo vissuto, e stiamo vivendo, si sono avute molte sollecitazioni rispetto ai sistemi aziendali che hanno permesso di portare alla luce il contributo di pratiche e funzioni prima più nell’ombra. Qualcosa è cambiato rispetto alla responsabilità sociale nelle aziende?
Penso che potremo fare un bilancio solo nel medio termine: adesso è un po’ presto per pensare al ruolo che ha svolto la funzione in questo periodo. I risultati delle azioni fatte durante il lockdown non sono qualcosa tipo “plug-and-play” che vedi subito. Purtroppo il Covid-19 porterà, e sta portando, tutta una serie di impatti nella società, in special modo per quanto riguarda il fronte della disoccupazione, senza tralasciare la necessità di rivedere il sistema scolastico, che in questi mesi si è mostrato debole e assolutamente non pronto a gestire la DAD. Senza trascurare il tema degli impatti psicologici, che questo periodo ha avuto sull’individuo. Sono tutti temi che necessitano un forte impegno da parte delle istituzioni, ma che esigono che anche le aziende facciano la loro parte. Ad oggi posso dire che si notano dei cambiamenti negli atteggiamenti e nei modi di porsi rispetto alla responsabilità sociale. Anche chi all’interno si occupa più di prodotto, è sempre più attento al tema della sostenibilità, al tema del risparmio energetico, del riciclo. Anche il volontariato aziendale che prima era una attività spot ormai è entrato a far parte integrante delle linee guida aziendali.
E’ fondamentale comunicare e agire contestualmente e coerentemente rispetto alla vision d’impresa. Per mantenere questo punto è molto importante avere l’appoggio della casa madre che stabilisce le linee guida ed ha una visione a 360 gradi. Spesso al responsabile CSR della filiale spetta il compito importante di far calare questa vision a tutto il management locale, non come imposizione, ma facendo comprendere i benefici in termini di reputazione che ne derivano nel medio e lungo termine.
Cosa sta nell’agenda del responsabile CSR per i prossimi anni?
Sicuramente vedo la necessità impellente per i prossimi anni di trasformare la strategia di Business in una strategia di Business sostenibile.
Aspetti che non possono prescindere dalla strategia di responsabilità sociale sono certamente: l’impegno verso l’ambiente, ponendosi obiettivi chiari per raggiungere in tempi brevi e attraverso azioni misurabili una riduzione del nostro impatto ambientale.
Essere sostenibili significa anche far sì che l’impegno dell’azienda venga trasferito a cascata a tutti gli attori coinvolti nella filiera: dipendenti, fornitori, Partner.
Non dimentichiamo che nessuna azienda si può definire sostenibile se non ha a cuore il benessere dei propri dipendenti, benessere che parte da eque condizioni di lavoro, ma anche attraverso l’attenzione verso il loro benessere psico-fisico.
A livello italiano, sarà sicuramente fondamentale dare il nostro contributo per affrontare le urgenze del sistema paese, facendo rete anche con altre aziende e con attori istituzionali per far sì che gli obiettivi del Recovery Fund vengano raggiunti.
Questi obiettivi rappresentano il lascito alle nuove generazioni, nuove generazioni che rappresentano il futuro. Essere aziende innovative significa investire sul presente, con uno sguardo costante orientato al futuro.
Febbraio 2021